Fvg, fare squadra per affrontare il mercato africano

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redazione

3 Aprile 2014
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Giornata formativa promossa da Unioncamere

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L’economia africana è plurale, fortemente differenziata, ma le imprese, anche quelle del Fvg, hanno grandi opportunità. Devono però sviluppare la capacità di muoversi in forma aggregata e per filiere, individuando mercati precisi, abbandonando tentativi di export “mordi e fuggi” e con metodo: presidiare il mercato scelto, conoscere personalmente gli interlocutori, esserci e restare.

Sono i suggerimenti arrivati oggi alla sessantina di imprenditori dei comparti arredo ed edilizia, agroalimentare, food processing and packaging che a Udine ha partecipato al seminario sull’Africa Subsahariana, in particolare su Ghana, Nigeria e Sudafrica, promosso da Unioncamere Fvg nell’ambito del progetto “Fvg vs Global Competition”, cofinanziato dalla Regione. L’incontro è stato realizzato anche in vista delle missioni economiche programmate per luglio, prima in Nigeria e infine in Sudafrica.

Sono queste alcune delle cosiddette “economie dei leoni”, ha ricordato in apertura Giovanni Carbone, professore associato dell’Università di Milano e curatore del rapporto Ispi sulla politica dell’Italia verso l’Africa. «Tra questi Paesi – ha spiegato il docente – oltre metà di quelli che si svilupperanno a passo più rapido entro il 2018 si trovano proprio nell’area subsahariana». Paesi che non si basano più solo sull’export delle ingenti risorse naturali, ma hanno anche cominciato a importare con decisione. «Anche gli investimenti diretti esteri sono in forte aumento, tanto da essere oggi arrivati quasi alla stessa quota degli aiuti allo sviluppo», ha ricordato il docente.

Sono però mercati in cui non mancano le difficoltà, che non vanno prese sottogamba, ma anzi riconosciute per essere affrontate al meglio: l’esperto ha citato l’inadeguatezza infrastrutturale, un freno per l’economia ma contemporaneamente un’opportunità per chi opera nel settore, il livello di corruzione, pur se ci sono sensibili passi avanti, le difficoltà di accesso al credito locale, la rigidità e la bassa produttività del mercato del lavoro con generale carenza di personale qualificato, mercati piccoli, ″informali″, su territori vasti, con crescente concorrenza asiatica e ancora limitato sviluppo del settore privato, nonché burocrazia, instabilità politica e clima di violenza che travagliano tuttora diverse zone dell’Africa, anche se il rapporto presentato evidenzia come i colpi di Stato si siano ridotti significativamente, con un’evoluzione positiva che ha fatto ritornare in Africa partner storici, specie dal 2000.

La Cina è stata tra i primi ad aver riallacciato i rapporti, investendo con strategia e pianificazione, trainando gli interessi di altri Paesi occidentali. E l’Italia? Il direttore dell’Istituto per il Commercio estero, Gianpaolo Bruno, ha rimarcato la necessità di recuperare «un ritardo storico che abbiamo nelle strategie politiche e commerciali verso l’Africa: abbiamo un export poco differenziato, con estrema concentrazione su pochi segmenti e prodotti economici, e investimenti assolutamente marginalizzati – ha precisato Bruno -:  abbiamo insomma un’immagine antica dell’Africa e difficilmente abbiamo sviluppato strategie, sottovalutiamo il fatto che è continente enorme con opportunità varie e molto specifiche. L’Africa sarà peraltro il paese con consumatori più giovani al mondo, fonte di opportunità economiche di lungo periodo». Altro problema italiano: «ci muoviamo sempre con piccolissime imprese o queste vengono lasciate sole o ancora vanno all’estero da sole, in forma “atomistica”: occorre invece – ha avvertito Bruno – un approccio di filiera». Serve poi una crescita dell’interesse da parte delle istituzioni, un’intensificazione delle iniziative di diplomazia economico-commerciale, soprattutto sugli otto paesi prioritari, l’aumento delle occasioni di informazione, formazione e tutoraggio, il rafforzamento gli strumenti finanziari a favore delle imprese operanti in Africa e la promozione di azioni di filiera, soprattutto sui settori prioritari come beni di consumo, risorse naturali, agricoltura, infrastrutture».

Ma non solo. Infatti, come ha evidenziato infine Eugenio Bettella, managing partner dello studio Rödl&Partner, «Ghana e Nigeria, per esempio, offrono occasioni importantissime in settori come l’energia, in particolare i sistemi “off grid” che garantiscono autonomia anche in mancanza di reti infrastrutturali efficienti. Così nelle telecomunicazioni e nel broadcasting, ancora mercati liberi e non regolamentati. È importante però – ha aggiunto Bettella – che sappiamo anche adeguare, all’occorrenza, il nostro prodotto alle esigenze specifiche dei mercati in cui andiamo. E andiamoci con la mentalità di creare un presidio vero: meglio affrontare pochi paesi, ma approfondendoli bene, essere presenti personalmente, conoscendo le persone e gli interlocutori, coltivando la propria presenza e la propria permanenza per nuove occasioni». 

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