Ricercatori triestini in missione in Norvegia

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redazione

29 Aprile 2014
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Fino al 9 maggio sulle isole Svalbard

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Fino al 9 maggio un team di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale di Trieste (OGS) sarà impegnato in una missione in Norvegia, nelle isole Svalbard, per uno studio di fattibilità dell’acquisizione di dati geofisici per l’analisi del permafrost periartico.

La spedizione fa parte del progetto PNRA (Programma Nazionale Ricerche in Antartide)/IMPERVIA “Metodi integrati per lo studio delle caratteristiche e delle variazioni del permafrost in un laboratorio naturale nell’Artico (isole Svalbard)”, coordinato da Giuliana Rossi, della sezione CRS dell’ente.

“I quattro ricercatori dell’OGS, assieme a un collega dell’Università di Bergen, uno dell’Università di Padova, e coadiuvati dai ricercatori dell’Università delle Svalbard , valuteranno diverse sorgenti sismiche – fonti di onde elastiche – a basso impatto ambientale per lo studio del permafrost” spiega proprio Rossi. 

Il permafrost è quello strato di terra che resta sempre gelato nelle regioni che si trovano al confine con l’Artico; in generale nel permafrost si possono distinguere due strati: quello attivo, più superficiale, che si scioglie d’estate e gela nuovamente d’inverno e poi quello che invece resta sempre ghiacciato. A causa del riscaldamento globale il permafrost si scioglie e il terreno perde quindi parte della sua compattezza e tenuta. Questo è importante per i Paesi nordici, dove il suo scioglimento può mettere in pericolo la stabilità di versanti e costruzioni che poggiano su questo terreno.

Va sottolineato che lo scioglimento del permafrost ha un impatto anche a livello globale con effetti che toccano ciascuno di noi. All’interno del permafrost può essere infatti intrappolato del metano legato alla decomposizione di materiale organico, che, a causa dello scioglimento viene rilasciato nell’atmosfera, incrementando quindi la quota di gas serra che incide poi sul riscaldamento globale stesso, in un circolo vizioso.

“Il progetto IMPERVIA, nato a seguito di un precedente progetto del  Consiglio della Ricerca Norvegese, ha lo scopo di sviluppare l’uso combinato di diversi metodi geofisici per ricostruire l’architettura 3D del permafrost” prosegue Giuliana Rossi. “Nel corso della missione effettueremo uno studio di fattibilità dell’applicazione dei metodi sismici presso un  Pingo, termine eskimo che indica una collinetta legata alla presenza, all’interno dei sedimenti, di una lente di ghiaccio spinta da pressione idrostatica o criostatica. I pingo legati a queste risalite di ghiaccio possono arrivare anche a 30-40 metri di altezza e sono delle vere e proprie attrazioni turistiche”.

I ricercatori immetteranno nel sottosuolo delle onde elastiche, per fare una sorta di TAC alla terra, misurando tempi e caratteristiche delle onde che, dopo aver attraversato il terreno, arrivano ai sensori, per identificare la composizione del terreno. “Ci muoveremo in condizioni difficili” chiarisce la Rossi. “Le Svalbard sono un parco naturale ed è quindi estremamente importante preservare l’ambiente naturale in cui opereremo, limitando al massimo l’impatto dell’uomo”.

Poco lontano da dove verranno svolte le misure del team dell’OGS si trova il CO2Lab dell’Università delle Svalbard che si occupa dello studio di fattibilità di immagazzinamento della CO2 nel sottosuolo. L’ipotesi è che il permafrost possa essere sfruttato come ulteriore “coperchio” oltre allo strato impermeabile presente nel sottosuolo: un’ulteriore barriera della CO2 intrappolata. Conoscerne la struttura, lo spessore e le variazioni che può subire il permafrost avrà quindi anche delle ricadute per questo progetto. 

“Molti studi geofisici ambientali sono come le tessere di un puzzle e vengono utilizzati per capire come sono oggi l’ambiente e il clima, paragonandoli a quelli del passato per capire anche come evolveranno in futuro” conclude Roberto Romeo, membro della spedizione OGS assieme a Lorenzo Petronio, Flavio Accaino e alla stessa Rossi.

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