Lavoro, vacanza, felicità: incrocio possibile?

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redazione

26 Novembre 2014
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Tra ozio e attività

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“Uno dei sintomi di un prossimo collasso nervoso è la convinzione che il proprio lavoro sia tremendamente importante, e che concedersi un po’ di vacanza sarebbe causa di chissà quali disastri. Se fossi un medico, prescriverei una vacanza a tutti i pazienti che considerano importante il loro lavoro”.

Così scriveva Bertrand Russel, premio Nobel per la letteratura nel 1950, nel testo “La conquista della felicità”. Approcciare il tema delle vacanze, in un momento in cui, per la maggior parte delle persone, queste si sono concluse e solo pochi potranno beneficiarne a breve, magari in concomitanza con le vacanze di Natale, può apparire antipatico e fuori luogo.

D’altra parte, le parole del filosofo Russel ci portano a riflettere sul tema della vacanza in un momento di grande impegno lavorativo. Lavoro, vacanza, felicità: sono temi tra loro in antitesi (lavoro e felicità), facilmente associabili (vacanza e felicità) o, per loro stessa natura, opposti (lavoro e vacanza)? E anche si giungesse a una risposta, questa avrebbe veramente un senso universale? Di lavoro e di felicità, abbiamo scritto già in precedenti numeri.

Allora, come ora, i temi si intrecciano e si intersecano tra loro, così come avviene nella vita di ciascuno di noi. Nell’immaginario comune, la vacanza è, etimologicamente parlando, antitetica al lavoro: essere liberi da qualsiasi occupazione (vacanza) come opposto allo svolgere un’attività che richiede dispendio di energie fisiche e mentali (lavoro).

Se così è, per quale motivo proprio in vacanza molte persone si impegnano in una miriade di attività e di sport che durante gli altri giorni dell’anno non inseguono? Dipende forse dal fatto che queste persone non sono in grado di essere prive di occupazioni? O forse che non sono capaci di stare senza occupazioni? O ancora, il fenomeno va letto in termini compensativi? In altre parole, l’essere occupati in più attività, anche durante il tempo della vacanza, supporta la fase di “tempo libero”.

La vacanza come cosa altra dall’ozio dei latini, come momento dedicato alla scoperta del sé, alla dedizione all’io, a ciò che piace. Ha ancora senso parlare di vacanza come momento a sé, come fase asettica dall’esterno? È attuale ragionare per compartimenti stagni, analizzando ogni ambito (lavoro, vacanza e felicità), in modo singolo e non contaminato dagli altri? E la vacanza cui alludeva Russel nel suo scritto è la medesima che pratichiamo oggi? E nel caso in cui non lo sia, si può pensare che una vacanza “mordi e fuggi” sia un efficace rimedio allo stress lavorativo? Quale è il tempo della vacanza, inteso sia come tempo migliore per prendersi una vacanza, sia come durata della stessa per godere dei benefici che rilascia? È bene seguire le indicazioni di psicologi e sociologi in merito oppure è più funzionale dare ascolto al proprio corpo e alla propria mente per la ricerca del benessere?

E gli eventuali benefici che la vacanza produce, riguardano tanto i maschi quanto le femmine? Come anche i minori e gli adulti? Chi, ormai prossimo agli anta, non ricorda le proprie vacanze estive come un periodo lungo e spensierato, trascorso con gli amici, fuori dal controllo dei genitori e verso una prima autonomia? Da allora, le vacanze estive per i bambini si caratterizzano come un festival di iniziative che, di anno in anno, si moltiplicano in quantità e in qualità: centri estivi, offerte sportive marine e montane, spettacoli, intrattenimenti ricoprono tutti i giorni in un puzzle a incastro quasi perfetto tra giugno e settembre.

Nel mezzo, le vacanze con mamme e papà insieme o, in alcuni casi, prima con l’una e poi con l’altro. Può essere un momento particolare, un’occasione speciale stare con mamma e papà, tutto il giorno per tanti giorni: è questo il tempo della vacanza? È questa la felicità?

Prima di dare una nostra risposta a queste considerazioni, ci sembra opportuno chiarire cosa intendiamo dire quando parliamo o pensiamo alle vacanze. Superata l’etimologia, la vacanza è intesa come un periodo da trascorrere lontano da casa, necessario a staccare la spina dalla quotidianità in generale e dal proprio lavoro in particolare. Considerazione necessariamente parziale quella appena elaborata, in quanto per ogni viaggiatore che parte vi è un lavoratore che si attiva. Il mercato del lavoro stagionale è un fenomeno fortemente legato a offrire un servizio puntuale a chi è in vacanza; ciò si realizza soprattutto nel periodo estivo e nei luoghi marini e montani, meta di vacanza. Ma chi l’ha detto che bisogna per forza partire per sentirsi in vacanza? Se le pause da scuola e dal lavoro si trascorrono a casa, è ancora corretto definirle vacanze?

“È l’animo che devi cambiare… non il cielo sotto cui vivi”. Con una straordinaria attualità, Seneca esorta a cambiare l’anima e non il cielo sotto cui viviamo: i viaggi, le distrazioni, ma anche la carriera non possono cambiarci veramente. D’altra parte, “se uno passasse un anno intero in vacanza, divertirsi sarebbe stressante come lavorare” (William Shakespeare).

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