Gioventù ribelle

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Cristian Vecchiet

9 Gennaio 2015
Reading Time: 4 minutes

Adolescenti e trasgressione

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Il tema delle sperimentazioni, delle trasgressioni e dei possibili rischi di devianza negli adolescenti è sempre più attuale. Basti pensare all’uso di alcol o di sostanze psicoattive in genere. Si è abbassata l’età in cui i ragazzi iniziano ad assumere sostanze. Non solo. Sempre più spesso ricercano lo sballo veloce.

Che i ragazzi sperimentino è del tutto normale. Che si oppongano agli adulti anche. Che inizino ad attribuire maggior autorevolezza ai pari età piuttosto che ai genitori è del tutto sano. È così perché i ragazzi devono cercare e costruire la loro identità e, per farlo, devono differenziarsi dagli adulti e dai genitori in particolare. Sarebbe problematico il contrario.

Il problema sta nel contenuto e nelle modalità della sperimentazione. L’uso precoce e ripetuto di alcol, spinelli o altro rischia di introdurre il ragazzo in una spirale da cui può essere difficile uscire. Soprattutto inizia il giovane alla logica dello “sballo”, ovvero alla fuga dalla realtà quale via per superare il senso di smarrimento, di sofferenza, di noia. Dopo l’infanzia i ragazzi devono distanziarsi dai genitori e dagli adulti più significativi e per questo spesso vi si oppongono. L’atteggiamento dei genitori deve da un lato favorire la maturazione dell’autonomia e dall’altro proteggere i figli da possibili pericoli.

Innanzitutto decisivo è che i genitori abbiano una posizione sugli atteggiamenti trasgressivi, che siano di disapprovazione dell’atto ma non di chi lo compie. Se i genitori danno poco o nessun peso è del tutto chiaro che trasmettono l’indifferenza tra l’uso e il rifiuto. Se i genitori ne fanno uso anche se sono contrari che i figli seguano la stessa scia, o se gli stessi persino legittimano a parole l’uso di alcol, è ovvio che la strada è facilitata.

Importante è che i genitori cerchino di conoscere il mondo dei figli e di attestare loro vicinanza. Capita che non pochi ragazzi trascorrano diverse ore fuori di casa, senza che i genitori sappiano dove si trovano. Il che chiaramente non è indifferente sotto il profilo educativo. I genitori devono dare un’indicazione chiara sugli orari e devono cercare di capire dove sono e cosa fanno i loro figli.

Questo non vuol dire né che i figli rispettino le indicazioni, né che le informazioni siano sempre corrette. Significa però che i genitori esprimono un punto di vista chiaro sulla realtà e che i figli lo conoscono.

Per conoscere i propri figli i genitori possono adottare alcune regole. Ad esempio possono aprire la loro casa agli amici dei figli. Invitare a pranzo o a cena gli amici dei figli e permettere loro di venire a casa a giocare insieme è un modo per esprimere vicinanza e riconoscimento ai figli ma anche per conoscere il loro mondo di relazioni.

Un’altra modalità può essere accompagnare i propri figli nei luoghi dei loro hobby. Accompagnarli in palestra o nelle attività sportive può essere un modo per entrare nei loro mondi di vita e per attestare l’interesse verso i ragazzi.

Queste modalità operative costituiscono canali possibili per osservare e conoscere, per dimostrare vicinanza senza eccedere. Una strada ulteriore potrebbe essere conoscere le famiglie degli amici o le figure adulte di riferimento dei propri figli. Per esempio attraverso la scuola o lo sport praticato dal figlio. Se ci sono sospetti e paure, può essere opportuno rompere l’imbarazzo e provare a contattare le famiglie degli amici. Decisiva è poi l’arte della negoziazione.

I genitori e gli adulti in genere devono indicare delle regole e dare delle indicazioni cui richiamare i figli e i ragazzi. Tuttavia è necessaria una certa elasticità, a seconda dei ragazzi e delle loro richieste. Venire a patti non è necessariamente qualcosa di disdicevole. Anzi, nella maggior parte dei casi è un’arte da coltivare e a cui educare. Costruire un patto vuol dire condividere un’alleanza in cui ci si mette d’accordo per raggiungere un obiettivo condivisibile. Le parti abbandonano qualcosa per raggiungere un compromesso accettabile.

Entrare nella dinamica della contrattazione permette di porre un limite (almeno simbolico), di constatare quello che i ragazzi fanno e di far vedere che l’adulto li osserva e si preoccupa di loro. Stare totalmente al di fuori del mondo dei propri figli può essere rischioso. I genitori devono avere il coraggio di mostrare che sono genitori, che sono loro a dettare le regole e che possono chiedere conto ai ragazzi di quello che fanno. Non sempre importa se i figli gliela fanno sotto il naso, ma conta che ci sia un messaggio chiaro.

Certo, non si tratta di negoziare su tutto e in ogni caso. Ancora meno si tratta di negoziare all’infinito e a qualunque costo. Piuttosto è importante costruire un’alleanza in cui, se si perde qualcosa dell’esigenza di partenza, ci si accorda per il bene maggiore possibile.

Educare attraverso l’accordo e all’accordo è educare all’autonomia. Rimane sottinteso che, anche nell’accordo, ad avere l’ultima parola è l’adulto e non il ragazzo. E se il ragazzo non rispetta l’accordo è altrettanto chiaro che ci devono essere delle conseguenze. Dunque un’infrazione deve avere una sanzione. E a maggior ragione un ragazzo va premiato quando mostra comportamenti positivi. I figli, infatti, vanno rinforzati nei loro comportamenti positivi più che rimproverati e puniti per i comportamenti cattivi.

A far da cornice e da sfondo rimane sempre il dialogo. Decisivo è cercare di rompere le barriere dell’incomunicabilità. Può sembrare assurdo ma i figli ascoltano sempre i genitori. Anche quando l’opposizione sembra totale. L’affetto verso gli adulti di riferimento permane anche nella difficoltà. Quando un ragazzo ha bisogno torna sempre dai genitori.

L’adolescenza è un momento di destrutturazione in vista di una ricostruzione. I mattoni della nuova casa sono quelli perlopiù messi a disposizione dagli adulti significativi fin dalla nascita o dal prenatale. L’importante è che i genitori abbiano la consapevolezza delle loro risorse e vogliano metterle a frutto senza troppi timori. In fondo è quello che chiedono i figli, anche e forse soprattutto quando alzano il tiro.

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