Il richiamo dell’avventura

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Michele D'Urso

9 Gennaio 2013
Reading Time: 5 minutes

Max Pussig

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‘Quando / mi dipartii da Circe, che sottrasse / me più d’un anno là presso a Gaeta, / prima che sì Enea la nomasse, / né dolcezza di figlio, né la pieta / del vecchio padre, nè’l debito amore / lo qual dovea Penelope far lieta, / vincer potero dentro a me l’ardore / ch’i ebbi a divenir del mondo esperto, / e de li vizi umani e del valore’. Mi piace iniziare con questo famoso passo della Divina Commedia, ove Ulisse spiega che il richiamo dell’avventura era in lui così forte da vincere qualsiasi altra passione, anche l’amore verso le persone care. Siamo in pieno ventunesimo secolo, nell’uomo moderno è forse sparito questo istinto primordiale? A osservare Max Pussig, goriziano classe 1972, la risposta sarebbe decisamente no.

Giunto a un punto della sua vita in cui di solito ci si dedica alla cura del focolare, con una moglie in attesa della primogenita, un mutuo da pagare e un lavoro soddisfacente, inforca un leggendario Scooter 50cc e si dirige, in solitaria, verso Capo Nord.

Max, quando è scattata la molla di vivere questa avventura?

«Il mondo dei motori mi ha sempre appassionato e, infatti, per cinque anni sono stato il navigatore del pilota di rally Walter Vida. Un giorno vidi un servizio su una coppia di milanesi che aveva fatto il raid Lisbona-Pechino a cavallo di un motocarro Ape 200, e lì è scattato qualcosa che ha cominciato a bruciarmi dentro».

Quindi a scatenare la passione per i raid automobilistici è stata la tv?

«Si, ma non per quelli in prima classe. Io amo i raid dove la strada te la devi conquistare metro dopo metro, in totale insicurezza, sia del mezzo che economica. Il mio viaggio in Zip, leggendario cinquantino degli anni Ottanta, cominciò e finì con mille euro di budget totale. Per starci dentro dovevo dormire in tenda, o sul bordo della strada, mangiare scatolette e pane, e guidare a velocità adatta al risparmio, ovvero sotto i 40 km/h, effettuando le discese a motore spento. Perfino sul Grossglockner… (monte più alto d’Austria, con 3.798 metri sul livello del mare, ndr)».

Incoscienza o follia?

«Possedevo una Vespa 50 con la quale avevo fatto in gioventù dei piccoli raid, tipo andare a Forni di Sopra d’inverno».

Qual è il nesso?

«A Forni trascorsi lunghi periodi in colonia da piccolo: per me quel posto ha una magia speciale. Ogni mio viaggio è passato da lì; è il mio rito apotropaico».

Ma il Grossglockner cosa c’entra?

«Avevo comprato lo Zip da un amico lombardo che viveva a Trieste e che quando tornò a casa decise di disfarsene. Fu un affare. Lo preparai in due mesi e ci feci qualche giro a Forni per abituarmi alle lunghe ore di sella. Poi, il primo luglio del 2006, con la moglie al settimo mese di gravidanza sono partito».

Che viaggio è stato?

«Lungo la strada ho conosciuto gente di ogni sorta che mi ha sempre aiutato e sostenuto. Al riguardo potrei citare centinaia di aneddoti…».

Ce ne racconti almeno uno.

«Giunto a Tolmezzo si bloccò l’impianto elettrico e restai a piedi. Spinsi lo Zip fino a una concessionaria. Mentre riparava lo scooter, raccontai al proprietario del mio viaggio e del mio sogno. A riparazione conclusa gli chiesi il conto ma lui replicò che non servivano soldi: “Ti sponsorizzo perché mi stai simpatico”. Friulani, che gente! Così ripartii e per rifarmi del tempo perduto arrivai fino al Grossglockner senza soste. Alle quattro del mattino…».

Ma la sorte non le fu amica e l’arrivo a Capo Nord rimase un miraggio.

«A meno di cento chilometri da Capo Nord si ruppe il variatore e non fu possibile farne arrivare uno entro il tempo necessario per farmi tornare al lavoro al termine delle ferie. Lo Zip concluse così la sua corsa in una stalla finlandese oltre Circolo Polare Artico».

Una grande delusione…

«Non proprio, perché per noi viaggiatori amanti dei raid non è importante il punto d’arrivo, ma il viaggio in sé. Quando mi si ruppe lo Zip ero da solo nei boschi finlandesi e in quelle foreste fatate mi sembrava di veder muoversi ogni sorta di essere: dai lupi agli orsi agli gnomi ai giganti».

Nemmeno un attimo di paura?

«Lo ammetto, sono stato colto dal panico. Ero solo in mezzo all’infinito. Ma il tempo di chiudere gli occhi un attimo, mandare un pensiero ispirato al protettore dei viandanti, che si materializzarono al mio fianco due motociclisti danesi diretti anche loro a Capo Nord. Mi hanno soccorso trainandomi indietro di una cinquantina di chilometri, fino al primo villaggio abitato. Fratellanza motociclistica. Lì lasciai in custodia lo Zip».

Quando tornò a riprenderlo?

«In realtà è ancora lì… Mi mancano i soldi, ma sto cercando sponsor per l’operazione. Quando si ruppe, il problema principale divenne fare ritorno a casa da quel villaggio in mezzo al nulla».

Come ci riuscì?

«Capii che, l’indomani, l’unico bus della giornata per Rovaniemi, la prima città dove ci fosse la ferrovia, era alle sette e mezza del mattino. Sapevo che da lì, il treno per Helsinki, dove avrei preso l’aereo per l’Italia, partiva alle 15, e quindi credevo di avere tutto il tempo per fare le cose con comodo. Mi sistemai alla fermata del bus e trascorsi lì la notte, che in quella stagione durava circa un’ora».

Tutto tranquillo, allora…

«Arrivarono le dieci del mattino e del bus nemmeno l’ombra. Passarono due ragazze in auto e mi dissero che la corriera sarebbe arrivata alle 11.30. Avevo capito male l’orario… Per fortuna una di loro iniziò a parlare in italiano (retaggio di sei mesi vissuti a Napoli e sei a Firenze) e si offrirono di portarmi a Rovaniemi. Salii sul treno all’ultimo secondo».

Le occasioni per rifarsi non vennero meno: nel 2008 con il Quad a Capo Nord, nel 2011 il bis (ma durante la stagione invernale), nel 2012 il raid con una Panda vecchia di 22 anni nel deserto del Sahara in Tunisia… Domanda personale: quando rientra da queste avventure, sua moglie Chiara non l’aspetta mai col battipanni dietro la porta?

«Abbiamo un bellissimo rapporto. Lei mi capisce: per quanto sembri uno scavezzacollo, la famiglia è il mio punto di riferimento. Chiara e i nostri figli Nicole e Michael sono il fulcro sul quale ruota la mia vita».

Prossima avventura?

«Quest’estate sono stato dieci giorni in giro per l’Austria con la bicicletta, con soli 150 euro a disposizione. Ho scoperto che la bici è ancora più slow dei mezzi da me finora usati, e conto di tornare lassù, nel grande nord, di nuovo su due ruote, ma a pedali».

Info: www.viaggioin50.it

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