Dalle stelle allo Stallo

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Michele Tomaselli

13 Gennaio 2016
Reading Time: 4 minutes

Maurizio Mancini

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Il Vecchio Stallo è uno dei locali più pittoreschi e conosciuti nel centro storico di Udine. Qui giungono artisti, pensatori e tutta la crema colta del Friuli. La mattina e fino alle prime ore del pomeriggio è frequentato soprattutto da pensionati e lavoratori rionali, desiderosi di scambiare quattro chiacchiere davanti a un bicchiere di vino, magari con una partita a briscola. Ma alla sera il Vecchio Stallo si trasforma dando il meglio di sé. Qui non c’è nulla di scontato. È tutto improvvisato. Ne parliamo con l’oste Maurizio Mancini che, lo scorso settembre, ha festeggiato il trentennale dell’attività in una grande festa.

Maurizio, quando ha iniziato la sua esperienza?

«Era il 21 settembre 1985 quando, con tanta buona volontà e sprezzo del pericolo, iniziai questa avventura. Ero coadiuvato dai miei due fratelli: Enzo, un burbero maresciallo degli Alpini, e Mario, un cuoco filosofo e matematico. Il mio ruolo era soprattutto quello di far andar a frequenza i due cervelli, configurati in maniera diversa. Tra litigi, baruffe, risate, riunioni familiari, partenze, riappacificazioni e abbracci siamo riusciti a lavorare più di vent’anni. Tuttavia, da dieci anni siamo rimasti solo io e Mario. Non voglio raccontare bugie, ma è solo grazie al maresciallo Enzo che mi è stato possibile acquistare il locale, all’inizio in gestione associata con Gigi il Rosso».

Che tipo di clientela viene al Vecchio Stallo?

«Tante persone frequentano queste quattro mura addobbate dai miei ricordi. La nostra clientela è eterogenea e si ascrivono tutte le età: dai neonati agli adolescenti, ai grandi, agli anziani, agli ultracentenari. Ma è anche rappresentata dai tanti e svariati mestieri: studenti, operai, pensionati, operai, artigiani, politici, architetti, ingegneri, medici, assicuratori, professori, insegnanti, casalinghe, commesse, geometri, camerieri, cuochi, rappresentanti, vignaioli, gourmet, giornalisti, scrittori, poeti, scultori, fotografi , anarchici, dipendenti comunali provinciali e regionali, uomini dabbene e persone incasinate. Spesso ospitiamo personalità del mondo del cinema, dell’arte, della musica e dello spettacolo. Si sono annoverati nostri clienti Mario Monicelli, Sergio Endrigo, Gianni Mura, Fabrizio Bentivoglio, Marco Travaglio».

Si dice che ogni locale ha i suoi difetti…

«E lo Stallo li ha tutti. Qui potrai anche rimanere deluso, al contrario vivrai attimi indimenticabili, momenti dello stare bene a tavola, del buon vino, della musica. Qualcuno ha detto che l’atmosfera è autentica».

Dieci anni fa ha fatto una scelta multietnica in controtendenza, oggi molto attuale. Ce la racconta?

«In questa lunga avventura molti dei miei collaboratori sono andati in pensione, altri sono di ventati esercenti, così dieci anni fa, aprendoci alla globalizzazione, abbiamo deciso di assumere unicamente personale africano: Caterina, Ester, Phillis, Jennifer e Abigail. In questo modo, stando con noi, hanno imparato a conoscere la cucina friulana. Quando abbiamo previsto di assumerli avevamo dei dubbi, ma alla fi ne è stata fatta la scelta giusta».

Lo Stallo affonda le proprie radici nella storia…

«Un tempo lontano sostavano carrettieri e cavalli. C’erano una volta, in città, diverse stazioni di arrivo di carri e carrozze provenienti da tutto il Friuli. Fra queste, nell’ambito del settecentesco palazzo dei Conti Gorgo Maniago, quasi a ridosso delle mura cittadine, si trovava secoli fa una locanda con annessa stalla e un sottoportico per il carriaggio. Lo “Stallo” appunto. Ma come si chiamasse per davvero, oggi, non è dato sapere; nemmeno Chino Ermacora (all’epoca direttore delle Panarie e grande storico udinese) non lo riportò nell’elenco delle osterie storiche. Ma il luogo era dimora di postiglioni, viandanti, donne del malaffare, peccatori stanziali. Successivamente si diedero ritrovo attori, letterati, architetti e artisti, ma anche bellissime dame udinesi infiorettanti l’eleganza. Fino a che, nel 1927, il locale ricevette l’autorizzazione comunale alla vendita dei vini padronali e la regolarizzazione dell’attività. Pur con delle inevitabili trasformazioni, l’edificio è oggi quello di allora. Nei muri sono rimasti i segni del passato, con i basti, le briglie e i ferri dei cavalli. All’esterno la caratteristica insegna in ferro battuto, probabilmente risalente alla Serenissima. Da trent’anni è in mano alla “banda dei Fratelli Mancini”».

Quali sono i piatti forti?

«Per la maggior parte quelli nostrani. Gnocchi fatti in casa, di patate o di zucca, cjarsons alle erbe aromatiche. Per i secondi brovada e musetto, frico, baccalà con polenta, trippe rognone, stinco di maiale, bollito misto. Nella classifica non può mancare il minestrone di orzo e fagioli. Insistiamo nel diffondere la tradizione culinaria friulana. È proprio nel vigneto chiamato Friuli che offriamo un vasto assortimento di vini».

“Al vecchio Stallo non si fa credito” e “ridere fa bene alla salute” sono alcuni dei tanti motti.

«Sì, abbiamo delle regole ferree (ride, ndr). Qui si viene per mangiare e per bere. Qui si mangia e si beve senza esotiche innovazioni gastronomiche. Si paga solo in contanti e non si accetta nessuna carta di credito se non la carta da briscola (è scritto vicino alla cassa, ndr). Così anche lo slogan: “Ridere fa bene alla salute: fatelo adesso finché è gratis” oppure “Se il vino sparisse dalla terra credo che nella salute e nell’intelligenza dell’uomo si formerebbe un vuoto, un’assenza di molto più spaventosa di tutti gli eccessi ai quali il vino è fatto responsabile”».

Siamo arrivati alla fi ne. Maurizio, nella sua lunga carriera desidera ringraziare qualcuno?

«Tutti gli amici carissimi che mi hanno aiutato, il Comitato per i festeggiamenti del trentennale, il Comitato Friulano Difesa Osteria del presidente Enzo Driussi, il Friuli, i miei fratelli, mia moglie Iole, il perito Chittaro da Pagnacco, il macellaio Sergio Bogaro e tutti quanti continueranno a venirci a trovare».

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