Là dove il tempo si è fermato

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Michele Tomaselli

25 Marzo 2016
Reading Time: 9 minutes

Madagascar

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Un miracolo della natura: una foresta pluviale fitta ed intricata con pini, baobab, eucalipti, orchidee, bambù, piante carnivore, palme del viaggiatore. E oltretutto popolata da lemuri: questi curiosi primati dagli occhioni spiritati e dalla coda ad anelli che sembrano dei peluche… A un tratto spunta dietro un tronco il lepilemur microdon, un lemure di circa mezzo metro di lunghezza che assomiglia a un dolcissimo pupazzo. Ma le sorprese non sono ancora finite: al calar delle tenebre, si aggira il fossa, unico predatore della boscaglia e simile a uno zibetto; un camaleonte diventa giallo grazie a un meccanismo “hi-tech” unico nel regno animale e alla fine un microcebus rufus, un lemure piccolissimo ghiotto di banane, emette dei canti d’amore.

Mi trovo nel Parco Nazionale delle Montagne d’Ambra, la maggior attrattiva naturalistica del Madagascar settentrionale: è costituito da coni vulcanici che raggiungono l’apice con il Picco d’Ambra a 1.475 metri e, come un’oasi, si trova nel bel mezzo di un territorio secco. In particolare, grazie al clima tropicale e alle abbondanti precipitazioni, si possono trovare migliaia di specie vegetali, numerosi torrenti e salti d’acqua. La bellezza dei suoi scenari è forgiata da conformazioni basaltiche generate dalla furia del fuoco, così da offrire una natura selvaggia che si estende per oltre 18.000 ettari.

Tuttavia, nonostante la giornata piovosa, decido di salire sulla cima d’Ambra. Ho la fortuna di essere accompagnato da Luk, un giovane malgascio che sostiene di conoscere il posto. Tuttavia il sentiero è incerto, la foresta è impenetrabile, ed è necessario farsi strada con un machete. Ma non c’è limite al peggio e scopro che Luk non ha mai messo piede in questa foresta. Spesso dobbiamo attraversare delle sabbie mobili con fondo fangoso e acqua fi no alle ginocchia. Vi sono piante rarissime, felci di ogni tipo, migliaia d’orchidee, piante carnivore e c’è anche la minaccia dei serpenti. Probabilmente è dai tempi dell’occupazione francese che nessuno ci sale! La foresta è fitta e buia, particolarmente ricca di piante urticanti e sanguisughe affamate. A un tratto il sottobosco comincia ad animarsi. È un pulsare di vita e di rumori: un concerto di grida e dei suoni più strani. In volo perenne, colonie di zanzare, calabroni e centinaia di altre specie animali. Sembra la giungla nera di Sandokan!

Dopo circa sei ore, ben stufo di camminare, raggiungo il Grand Lake, un lago misterioso, a circa mezz’ora di distanza dalla cima. Ritornato al campo mi tolgo dalle gambe una ventina sanguisughe e dopo una doverosa doccia mi appresto a ritornare alla civiltà (si fa per dire!).

Un flashback del mio viaggio in Madagascar, Stato insulare dell’Oceano Indiano, al largo delle coste del Mozambico, sul Tropico del Capricorno. Isola sinonimo di fuga, affascinante terra selvaggia e fra i Paesi con il più ricco patrimonio naturale del mondo. Gli abitanti ti accolgono con un tonga soa, cioè “benvenuto”. Come nella trama del noto cartoon televisivo Madagascar, interpretato dai quattro simpatici amici (Alex, un leone; Marty, una zebra maschio; Gloria, un ippopotamo femmina; Melman una giraffa ipocondriaca) inizio ad assaporare questo scrigno di diversità. Incomincio dalla capitale Antananarivo (Tana), per poi proseguire nella navigazione del fiume Tsiribihina c on i villaggi di paglia, nelle visite dei parchi: Tsingy de Bemeraha, Kirindi, Ankarana e d’Ambre, per concludere a Nosy Be, sul mare, ammirando le splendide barriere coralline.

Un salto indietro. A Tana, dopo aver effettuato un volo di 12 ore, incontro il mitico generale Bebe, da queste parti un istituzione, dacché ti devi rivolgere a lui se vuoi visitare il Madagascar e se hai necessità di cambiare valuta. Tra l’altro il suo ufficio è un vero e proprio bunker con tanto di guardie. Cambio settecento dollari con la moneta locale, gli ariary, e mi trovo a girare con una borsa zeppa di banconote: la cartamoneta di maggior taglio è quella da 10.000 ariary, che equivale a circa 4 euro. Dopo aver concordato l’itinerario, raggiungo il gruppo al famoso Restaurant Sakamanga, vicino all’albergo, gustando per la prima volta del filetto di zebù e assaggiando del rum alla vaniglia. Iniziamo a immergerci nella cultura malgascia…

L’indomani partiamo per la piccola cittadina di Mindravazo nella regione del Menabe, per compiere una navigazione sul fiume Tsiribihina. A metà strada facciamo una sosta al mercato di Antisarabe, per acquistare qualche casco di banane e della papaya, mentre verso sera raggiungiamo le rive del grande fiume. Così avvistiamo i primi coccodrilli. Non è un caso che il nome Tsiribihina significhi “là dove non bisogna nuotare”. Noi di certo non sguazzeremo nell’acqua!

Il giorno successivo siamo pronti per compiere una crociera indimenticabile nel sud ovest del Madagascar ed esplorare Bemahara, patrimonio mondiale dell’UNESCO. Con noi viaggiano tre galline stipate in una gabbia: starnazzano ma non sanno ancora quale destino le aspetti… Più tardi, dopo aver caricato sull’imbarcazione le vettovaglie, compresa della legna, una moltitudine di bambini con gli occhi smaglianti come le stelle del cielo ci saluta dalla battigia del fiume esclamando: Bonjour vashaha (“buongiorno bianco”), regalandoci canti e danze tribali. È una notte bellissima: il cielo è illuminato dalla Via Lattea e dalla costellazione di Orione e ogni tanto scendono delle stelle cadenti. Così noi tutti esprimiamo un desiderio.

Nel frattempo la nostra guida e capitano di “vascello” John ci mostra la spiaggia, sede del campo di sosta che, non troppo lontana dagli ultimi avvistamenti di coccodrilli, è l’ideale per stazionare la barca, accendere il fuoco e montare le tende. A cena rimaniamo colpiti dalla bravura dei nostri tre cuochi (due ragazze e un ragazzo) che per l’occasione preparano pasta molto speziata e spezzatino di zebù. Per esorcizzare la fobia da coccodrillo, tra noi viaggiatori rievochiamo il film Anaconda con Jennifer Lopez.

Arriviamo al quarto giorno. Smontate le tende, dopo un’abbondante colazione partiamo dedicando l’intera giornata sul fiume Tsiribihina. Dopo un paio d’ore di navigazione attracchiamo a riva per raggiungere una splendida cascata che, formando piscine naturali, sembra un paradiso terrestre. Non ci resta che tuffarci…

Più tardi, ripresa la rotta, approdiamo sulla sponda sinistra del fiume per visitare un tipico villaggio di paglia e fango, contraddistinto dalla presenza di un grande essiccatoio per la lavorazione del tabacco. Verso sera sbarchiamo quindi su una spiaggia, montiamo le tende e consumiamo le tre galline, grigliate per l’occasione. Ci allietano i canti e le danze tribali di un vicino villaggio.

Ormai siamo entrati nel vivo del viaggio. L’indomani, nel primo pomeriggio arriviamo a Belo sur Tsiribihina, un comune rurale della provincia di Toliara, e qui, caricati i bagagli a dorso di uno zebù, raggiungiamo il nostro albergo. L’epilogo della giornata è un’ottima cena a base di gamberoni di fiume, anche se qualche scarafaggio non fa dormire sonni tranquilli.

Il giorno seguente, a bordo di un camion 4×4 trasformato in rudimentale corriera, partiamo alla volta del parco Tsingy di Bemaraha: una riserva naturale ubicata vicino alla costa occidentale e inclusa nella lista del Patrimonio dell’UNESCO. Il viaggio è una vera e propria odissea: scomodo e movimentato, a causa delle continue vibrazioni provocate dalla condizioni della strada e dalla completa mancanza di ammortizzatori del mezzo. Dopo sei ore di sterrato, raggiungiamo la sponda del fiume Manonmbolo.

Quasi impossibile descrivere questo luogo, unico nel suo genere. Un grande massiccio di origine carsica che si estende da nord a sud, per oltre 100 km, modellato da fenomeni erosivi e frastagliato da pinnacoli (in malgascio tsingy) alti centinaia di metri, affilati come rasoi, e interrotto da profondi canyon. Più tardi dopo aver montato le tende, visitiamo il piccolo circuito del Tsingy. Concludiamo la giornata con una visita notturna della riserva, osservando camaleonti e qualche serpente.

L’indomani partiamo con le guide del parco alla volta del circuito del grande Tsingy. Arrivati al parcheggio le nostre guide ci consegnano 12 imbragature e ci invitano ad assicurarci perché il sentiero è attrezzato. Dopo circa 4 ore fra passaggi, taluni anche esposti, grotte, pinnacoli e un ponte sospeso, concludiamo con entusiasmo questa incredibile esperienza, particolarmente felici per aver visto le galidie (manguste dalla coda ad anelli), un varano, camaleonti e lemuri bianchi.

La giornata seguente, in canoa lungo il fiume Manonmbolo, giungiamo alle grotte dei pipistrelli e alle tombe dei “Vazimba” (i cosiddetti uomini nani), considerati i predecessori del popolo malgascio.

Giunti al nono giorno, visitiamo la riserva di Kirindi. È il regno di una ricca farmacopea nonché il rifugio di manguste, ratti giganti, tartarughe, camaleonti, uccelli del paradiso e lemuri notturni. Abbiamo la fortuna di scrutare un fosa, il carnivoro più conosciuto del Madagascar (tanto da essergli stata assegnata la parte del cattivo nel film d’animazione  Madagascar). Nel primo pomeriggio ci fermiamo nella caratteristica Avenue de Baobab: uno dei luoghi più fotografati del Paese, lo splendido viale con i baobab della specie Adansonia Grandidieri, allineati su entrambi i lati, a circa 15 chilometri da Morondava.

L’indomani attraversiamo con le piroghe la foresta di mangrovie attorno a Morondava e raggiungiamo l’isola di Betania, dove visitiamo una piccola chiesa retta da due suore italiane. Dopo aver consumato dei gustosissimi granchi per pranzo, a cena Gabriele – di origini romane e gestore di un albergo vicino alla spiaggia – ci cucina dell’ottimo pesce barracuda.

Giunti a metà del viaggio, prendiamo l’aereo per Antananarivo dove, dopo un’ora di volo, rivediamo il mitico Bebe.

La mattina seguente raggiungiamo l’aeroporto di Antananarivo – Ivato e, dopo aver espletato le formalità burocratiche, ci imbarchiamo su un volo con destinazione Diego Suarez – Antsiranna. La più grande città del nord del Madagascar e capitale della provincia omonima deve il suo nome all’esploratore portoghese Diego Suárez che nel 1543 approdò nella Baia di Antsiranana. Inoltre fu protettorato francese fino agli anni Settanta. Le vie e le case richiamano architetture dell’epoca coloniale ma il fascino è racchiuso nell’atmosfera ormai decadente. Sembra che i coloni se ne siano andati solo qualche decennio fa lasciando alla salsedine dell’Oceano il compito di distruggere tutto.

I successivi tre giorni li trascorriamo nel Parco Nazionale delle Montagne d’Ambra. È pazzesco pensare come nel giro di pochi chilometri dalla costa il clima cambi completamente, con vento, pioggia e temperature molto rigide. Io e Nicoletta troviamo da dormire nel bellissimo lodge del parco, mentre gli altri del gruppo, più coraggiosi, dormono nelle tende all’interno delle apposite piazzole coperte. Le ottime strutture ci permettono di utilizzare l’acqua corrente per cucinare del riso, mentre Dante riesce eccezionalmente a preparare delle salcicce di zebù. Nel frattempo la temperatura cade in picchiata libera, il libeccio si manifesta con enorme frastuono tra gli alberi e la pioggia scende a catinelle.

Fortunatamente l’indomani il cielo migliora, così partiamo a piedi per visitare le cascate di Antamboka e di Antankarana. La tregua del tempo è però agli sgoccioli ed è imminente una nuova perturbazione. Così all’alba del nuovo giorno decido di salire al Pico d’Ambra, la montagna più alta della Riserva. La storia di quest’avventura è nota dal prologo dell’articolo, ma si arricchisce di una nuova protagonista: una galidia affamata che si divora i miei calzini imbrattati di sangue.

La nostra esperienza sta per concludersi: il quindicesimo giorno ci trasferiamo verso la costa e, a circa metà strada, entriamo nella riserva di Ankarana per visitare il percorso attrezzato del piccolo Tsingy – molto simile a quello del Tsingy de  Bemeraha – e la spettacolare grotta dei pipistrelli. Durante l’escursione manteniamo una forma di rispetto soprattutto perché, questi luoghi, sono ritenuti sacri dall’etnia degli Antankarana. In tarda serata raggiungiamo Ankjifi , un importante scalo marittimo del nord ovest del Madagascar affacciato sul canale di Mozambico, da cui partono i servizi marittimi per l’isola di Nosy Be.

D’ora in avanti ci aspettano sabbie  bianche e calde come il sole, mare azzurro e trasparente, fondali mozzafiato, barriere coralline e una natura rigogliosa. Peraltro a bordo di un catamarano potremo compiere una crociera meravigliosa per immergerci nei fondali più belli del mondo.

Siamo arrivati alla fine del viaggio. Gli ultimi quattro giorni li trascorriamo navigando nell’arcipelago delle isole Mitsio, un paradiso composto da isolette di sabbia bianchissima, rocce e coralli affioranti. Sono quasi tutte disabitate a eccezione di Nosy Mitsio e Grande Mitsio che ospitano alcuni villaggi di pescatori. Noi tocchiamo le isole di Nosy Komba, Nosy Tanikely,

Nosy Sakatja, Nosy Be e Nosy Lava. Quest’ultima custodisce le tombe dei re Sakalava (la stirpe dell’antico popolo malgascio), un faro oramai tutto arrugginito e un penitenziario costruito dai francesi nel 1911, che accoglieva i prigionieri politici fino al decadimento coloniale. Mentre oggi, in rovina, serve ancora a rinchiudere i carcerati, molti dei quali costretti ai lavori forzati.

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