Disegnare l’universo

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Vanni Veronesi

4 Gennaio 2018
Reading Time: 6 minutes

Gli anticipatori di Copernico

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Dalla Mesopotamia ad Alessandria d’Egitto

In principio furono i Sumeri: tre millenni prima di Cristo studiarono per primi i movimenti degli astri sulla volta celeste. Così anche gli Egizi, gli Assiri e i Babilonesi, e altrove la civiltà indiana e cinese. Tutti, a ogni latitudine e in ogni tempo, hanno alzato gli occhi al cielo cercando di misurare il tempo attraverso il passaggio delle stelle e dei pianeti: nessuno, però, aveva trasformato questa attività in scienza prima dei Greci. Ciò che accadde ad Alessandria d’Egitto a partire dal IV sec. a.C. è infatti qualcosa di completamente nuovo: per la prima volta un potere politico sovvenzionava la cultura, la ricerca e l’indagine in ogni campo del sapere, nell’ambizioso tentativo di raccogliere in un solo luogo tutta la conoscenza del mondo. Un posto particolare spettava proprio all’astronomia, la cui etimologia ne rivela la funzione originale: mettere ordine, stabilire una ‘regola’ (nomos) nella grande massa degli astri. Fra gli studiosi più influenti di tutti i tempi, un nome svetta sugli altri: Claudio Tolomeo, attivo fra il 100 e il 175 proprio ad Alessandria.

A lui dobbiamo la più grande opera di astronomia del mondo antico: la Sintassi matematica, meglio nota con il termine arabo di Almagesto, monumentale sintesi di tutti gli studi precedenti e, soprattutto, opera ‘definitiva’ per 1500 anni. In essa viene messa a punto quella che, da Pitagora ad Aristotele passando per Platone, era stata la visione dominante dell’universo: Terra al centro, Sole e altri pianeti in orbita attorno a essa. Una struttura confermata da osservazioni e calcoli matematici che in molti casi sono validi ancora oggi, per quanto le cose – lo sappiamo – stiano diversamente: ma se la scienza è una conquista collettiva, Tolomeo non può essere liquidato solo come il canonizzatore dell’errata teoria geocentrica. Perché la scienza è soprattutto una storia di sbagli compiuti da giganti, che però hanno reso possibili indagini successive alla ricerca di altre verità. E ciò che leggiamo in un autore oggi misconosciuto, ossia Marziano Capella, ne è la conferma.

Un autore misterioso

Cosa sappiamo di Marziano Capella? Le uniche informazioni (avvocato vissuto a Cartagine) si ricavano dalla sua stessa opera: Le nozze di Filologia e Mercurio, scritta probabilmente fra il 410 e il 429 (ma c’è chi la data alla fine del V secolo). Su questo titolo, così singolare e misterioso, sono state formulate le ipotesi più disparate, ma la verità sta nella natura profonda dei vocaboli: se Filologia è la scienza che ricostruisce la parola, Mercurio è il dio che questa parola è chiamato a interpretare (‘ermeneutica’ deriva da Ermes, nome greco di Mercurio). Nella cornice mitologica dell’opera l’unione spirituale e carnale delle due divinità diventa quindi metafora della conoscenza, sintesi di metodo e interpretazione, rigore e fantasia, studio e intuito: una cornice all’interno della quale sette vergini  dottissime, rispettivamente Grammatica, Logica, Retorica, Geometria, Aritmetica, Astronomia e Musica, espongono le materie di cui sono personificazione. Le nozze di Filologia e Mercurio, con i loro nove libri, mettono quindi in scena lo scibile umano: la lezione di Alessandria d’Egitto è ancora viva.

Perduto l’originale, per ricostruire la storia delle Nozze nella cultura europea dobbiamo affidarci a metodi da investigatore. I primi manoscritti risalgono al IX secolo, quattrocento anni dopo Marziano: un lungo periodo di buio che però ha lasciato delle tracce, prima fra tutte una sottoscrizione (miracolosamente sopravvissuta) che ci informa di un lavoro correttorio sull’opera marzianea compiuto a Roma da tale Securus Melior, quasi certamente nel 498. La sottoscrizione, però, è sempre riportata alla fine del primo libro e non, come ci aspetteremmo, alla fine del nono. Sei decenni dopo Securus, nel 560, il grande intellettuale calabrese Cassiodoro, nelle sue Institutiones, si riferisce all’opera di Marziano chiamandola «Le sette discipline», rammaricandosi del fatto che «non potè arrivare nelle nostre mani». Poi però accade qualcosa; un gruppo consistente di manoscritti, copie di un originale sicuramente databile al 562, riporta una seconda versione delle Institutiones nella quale appare un’intera sezione del terzo libro delle Nozze: i capitoli 300-309 e 312-324. Nel 562, due anni dopo la sua dichiarazione sconsolata, Cassiodoro ha quindi trovato Marziano: ma solo il terzo libro o tutti i nove? Passano altri centocinquant’anni e nella lontana Inghilterra il vescovo Tatwine e un Anonimo (detto ‘Ad Cuimnanum’) scrivono due manuali grammaticali in cui riappaiono gli stessi capitoli 312-324; poco tempo dopo il monaco anglosassone Beda compone un De temporum ratione dove l’influsso dell’astronomia marzianea è evidente.

L’astronomia di Marziano Capella

Tutto cambia sotto il regno di Ludovico il Pio (morto nell’840), figlio di Carlo Magno, quando finalmente Marziano riaffiora con la sua opera completa: una esplosione di codici che denuncia un grande interesse degli intellettuali carolingi per questo autore enigmatico. Ed ecco che dalla seconda metà del IX secolo i monaci amanuensi copieranno senza sosta – con tanto di disegni – le Nozze di Filologia e Mercurio, adottandolo come vera e propria enciclopedia da leggere, rileggere e commentare. Due passi su tutti desteranno l’attenzione dei lettori medievali: il capitolo 854, dove Marziano dichiara che: «Venere e Mercurio, in verità, non ruotano attorno alla Terra», e il capitolo 857, dove l’autore puntualizza che: «Mercurio e Venere, sebbene mostrino levate e tramonti quotidiani, tuttavia non percorrono le loro orbite attorno alla Terra, ma girano attorno al Sole in un corso più largo. Perciò hanno nel Sole il centro delle loro orbite».

Se è vero che anche per Marziano il Sole ruota attorno alla Terra, nondimeno egli ritiene che Mercurio e Venere ruotino attorno al Sole: un embrione di teoria eliocentrica che non ha paralleli in altri autori latini, ricollegandosi direttamente ai secoli eroici dell’astronomia alessandrina, quando Aristarco di Samo (310 – 210 a.C.) postulò una struttura cosmica con il Sole al centro e tutti i pianeti attorno, non solo Mercurio e Venere. O quando un altro gigante come Eratostene (276 – 194 a.C.) riuscì a calcolare la misura del meridiano terrestre (con un errore dello 0,8%) attraverso una serie di misurazioni effettuate con un vaso-meridiana a fasce concentriche: un oggetto chiamato skaphe, con uno gnomone al centro per segnare l’ora del giorno mediante la sua ombra proiettata sulle pareti del vaso. E non è certo un caso che uno dei disegni più importanti delle Nozze sia proprio una skaphe: un omaggio a Eratostene che conferma la posizione autorevole di Marziano Capella nella scienza occidentale.

Grafiche cosmiche

Questi contenuti singolarissimi delle Nozze suscitano curiosità nel Medioevo; fra le illustrazioni a corredo dell’opera spicca infatti un grafico che illustra tre possibili interpretazioni delle orbite di Venere e Mercurio attorno al Sole: spezzate, intersecate o concentriche. Un commento visivo che si affianca ad altri, raffiguranti eclissi di sole e di luna, orbite planetarie, rotazioni della volta celeste: un corredo d’immagini degno dei nostri migliori manuali scolastici. Il vero trionfo, però, si manifesta nei manoscritti del XII secolo, quando l’Europa delle prime università produce capolavori assoluti: ed ecco che i manoscritti marzianei si riempiono di miniature, con l’iconografia delle sette arti che si diffonde in tutto il continente. Grammatica, Logica, Retorica, Geometria, Aritmetica, Astronomia e Musica prendono vita sui portali delle chiese gotiche, sulle vetrate delle cattedrali e sugli affreschi dei palazzi pubblici: una febbre lunga tre secoli che contagia tutti, da Chartres a Foligno, dove all’inizio del Quattrocento Gentile da Fabriano dipinge un’intera stanza di Palazzo Trinci ispirandosi alle Nozze di Filologia e Mercurio. Una copia manoscritta dell’opera arriva anche nella biblioteca di Guarnerio d’Artegna, a San Daniele del Friuli, sulla scia di un interesse che nel 1499 porta alla prima edizione a stampa dell’opera proprio nel Nord Est italiano, a Vicenza. L’anno successivo viene ripubblicata a Modena, mentre a Padova, Bologna e Ferrara è certamente materia d’insegnamento, proprio mentre sui banchi di quelle università sedeva un giovane monaco polacco chiamato Mikołai Kopernik. E quando nel 1543, in punto di morte, pubblicherà il suo De revolutionibus orbium coelestium, il frate Mikołai, ormai per tutti ‘Niccolò

Copernico’, non esiterà a dimostrare il suo antico debito nei confronti delle Nozze: «Per questo motivo credo che non bisogna affatto disprezzare ciò che Marziano Capella, autore di una enciclopedia, e altri fra i Latini sapevano bene. Ritenevano infatti che Mercurio e Venere ruotassero attorno al Sole, posto in mezzo alle loro orbite».

La rivoluzione era iniziata. Ma con solide radici nella tradizione.

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