In arte Korfu

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Claudio Pizzin

15 Luglio 2019
Reading Time: 4 minutes

Fabrizio Bidoli

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Fabrizio Bidoli, come definirebbe la sua arte?

«La mia arte utilizza, da sempre, una pluralità di materiali, pur mantenendo una cifra stilistica omogenea, nella sua continua ricerca di sperimentazioni; mi piacciono le chine, l’uso delle mescolanze di resine e di colori acrilici, che creano linee, percorsi e fratture di significati in una dimensione sovente onirica o surreale, di forte impatto visivo, di memorie tracciate nei segmenti o negli spazi vuoti, bianchi, rimandi a stati e stadi di una coscienza o conoscenza atavica, insita nel nostro stesso Dna».

Quando ha capito che sarebbe diventato un artista?

«Essere un artista è una parola impegnativa, importante, specie oggi, quando vedo tanti, forse troppi, che si ritengono tali senza esserlo. Io non so se sono un artista, io so che sono una persona che cerca di creare qualcosa di nuovo e che rechi, comunichi un’emozione a chi la guarda, a chi è disposto a lasciarsi contaminare da quello che io propongo. Sono un artigiano, che modella le plastiche, le tele, che utilizza il vetro, il cartone e altri materiali, per realizzare anche oggetti d’uso quotidiano, una lampada, un portacandele, che siano espressioni del mio gesto, del mio atto creativo. Questo sono».

Suo padre (Ivan Bidoli, ndr) è un artista famoso, ma lei si definisce un autodidatta: quanto ha influito la figura paterna nella sua scelta artistica?

«Molto e nulla allo stesso tempo. I due termini non sono in contraddizione, ma, pur nella loro diversità, possono esprimere una identità di fondo. Sin da bambino ho visto mio padre dipingere, manipolare forme e colori, accogliere nella nostra casa altri pittori come Zigaina, Celiberti, Zorzenon… Un cosmo che mi affascinava e dal quale mi sentivo attratto. A scuola, alle medie, ho avuto la fortuna di incontrare un insegnante capace, Aldo Fornaro: lui mi ha indirizzato, ma la mia formazione è stata individuale, selettiva, guardando certo a quello che faceva mio padre, soprattutto ai suoi lavori grafici, ma cercando, al tempo stesso, di mantenere una mia ricerca, una mia personalità, un mio stile».

Che cosa rappresenta l’arte per Fabrizio Bidoli?

«Una sorta di ricerca e dialogo senza fine con e dentro noi stessi; una possibilità di rendere visibile l’invisibile, di rendere vero il reale e quotidiano il fantastico».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quali sono gli artisti ai quali si ispira?

«Molti e quasi tutti del Novecento. Picasso, per la genialità e il rigore nella sua apparente immediatezza; De Chirico, per il senso di uno straniamento senza tempo, in una dimensione fatta di memoria e di attesa; Vedova, per la forza magnetica di una pittura che si fa gesto materico, energia allo stato puro; Pollock, per la sua straordinaria capacità di creare una connessione apparentemente casuale di tracce, linee, colori, in una sorta di vortice fagocitante… Artisti diversi, sotto innumerevoli dita, ma proprio per questo tanto più significativi e rappresentativi, non solo del loro tempo, ma presenti nel nostro futuro, come solo un artista è in grado non di fare, ma di evocare, veri sciamani, rabdomanti del senso ultimo delle cose».

Nelle sue opere, grafica e pittura si fondono in maniera armonica. Cosa rappresenta, per lei, il segno grafico?

«Nelle mie opere il segno grafico assume una sua connotazione decisiva e rimanda a una pluralità di simboli e significati. Si tratta, di volta in volta, di esprimere e comunicare energia allo stato puro oppure una sorta di pausa, di sospensione che   rimanda a tracce da scoprire o velare, nel tempo, nella ciclicità delle attese, nella dimensione scritta in cui si collocano le nostre esistenze. La pittura è un altrove, un disincanto che svela e rivela la possibilità del reale, in una dimensione soggettiva, onirica, dove i nostri passi calpestano, nudi, gli echi della nostra interiorità».

Una delle sue peculiarità è la capacità di realizzare opere utilizzando materiali o supporti diversi. In base a cosa li sceglie?

«Non vi sono elementi selettivi, ma emozionali. I materiali possono essere diversi, nascono da esigenze di creazione e di realizzazione che variano secondo il dettato della mia necessità di interiorizzare e poi dare forma concreta a percorsi mentali e analisi delle percezioni della mia quotidianità. A volte, ad esempio, inizio la giornata con della grafica digitale, poi passo a dipingere direttamente sulla tela, per il puro piacere di sentire il colore tra le mie dita…»

Tra le opere da lei realizzate, a quale è maggiormente legato?

«L’ultima, perché sono ancora imbevuto delle emozioni che ha saputo darmi».

Attualmente su quali progetti sta lavorando?

«In questo momento sto lavorando su progetti di arte digitale per creare stampe con la tecnica Fine Art Giclée».

Oltre all’arte, quali sono le sue altre passioni?

«Camminare, andare da solo in montagna, nei boschi; mi aiuta, mi fa star bene, mi rigenera. La natura riesce a riappacificarmi con me stesso e con il mondo».

C’è un sogno nel cassetto che desidererebbe realizzare?

«No, i veri sogni non stanno nei cassetti».

Il suo nome d’arte è “Korfu”. Come mai?

«Nel 2014 incontrai un monaco zen, dopo una giornata di esperienze meditative e arte, lui mi diede il nome d’arte Korfu,  dicendomi che il significato era “ama comunque”. Così dal 2014 tutto quello che faccio lo firmo Korfu».

 

Per informazioni: tel. 345 1516583 – https://korfu-artist.business.site

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