Che cos’è un infarto?

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redazione

2 Ottobre 2019
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Cuore e malattie

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L’infarto del cuore (più propriamente infarto miocardico) è una malattia molto diffusa e, di conseguenza, molto temuta. È la causa più frequente di mortalità nel mondo occidentale. Ma cos’è, di fatto, l’infarto?

Il cuore è nutrito, come tutti gli organi, da sangue che arriva attraverso vasi arteriosi, che nel caso del cuore si chiamano “arterie coronarie”. Le arterie, quando sono sane, sono dei “tubi” con pareti interne completamente lisce, attraverso le quali il sangue scorre praticamente senza alcun attrito. Le pareti delle arterie però possono ammalarsi: possono irrigidirsi, infiammarsi, possono depositarsi dei grassi, dei trombi o del calcio al loro interno o tutte queste cose insieme, in un processo che prende il nome di aterosclerosi. L’aterosclerosi porta a un restringimento dell’arteria e quando questo restringimento arriva a occluderla completamente, il flusso del sangue si arresta e il tessuto che veniva nutrito da quell’arteria muore.

L’infarto miocardico è dunque la morte di un pezzo di muscolo cardiaco a causa dell’ostruzione dell’arteria coronaria che lo nutre. Quando questo succede, il tipico sintomo è un dolore intenso al centro del torace, che talvolta si estende al collo o al braccio sinistro. In certi casi però può manifestarsi con disturbi diversi, come mancanza di respiro, dolore allo stomaco o addirittura senza sintomi. Qualche volta purtroppo l’infarto manda in tilt l’impianto elettrico del cuore che smette improvvisamente di battere subito dopo, o addirittura prima, che il soggetto si senta male. In questi casi l’infarto si manifesta con una morte improvvisa.

Ma quindi con l’infarto il cuore muore? Nella maggior parte dei casi per fortuna no, nel senso che le arterie coronarie sono come i rami di un albero: il pezzo di cuore che muore sarà grande se la coronaria che si occlude è un ramo principale, piccolo se la coronaria è un ramo secondario. Solo se si occlude il tronco c’è il rischio che vada perduto il cuore nel suo intero.

Dalle dimensioni dell’infarto dipende anche il futuro di chi ne è colpito: più è piccolo, più potrà essere superato ritornando a una vita normale. Il cuore serve per pompare il sangue a tutto l’organismo; come tutti gli organi ha una riserva: se ne va perso un piccolo pezzo, ne rimane abbastanza per continuare a svolgere la sua funzione normalmente.

Se ne va persa una grossa parte, quella che ne rimane potrebbe non farcela a mantenere in vita la persona, oppure farcela con fatica, stancandosi facilmente e solo se aiutato da farmaci. Fortunatamente al giorno d’oggi la medicina offre la possibilità di disostruire la coronaria in corso di infarto miocardico. Entrando con una sottile sonda attraverso un’arteria del braccio o della gamba, si raggiunge il cuore, si entra nella coronaria e gonfiando un palloncino si dilata il restringimento. Il tutto in sola anestesia locale. In alternativa si può somministrare un farmaco che scioglie la parte di ostruzione causata dalla trombosi, ripristinando una pervietà sufficiente al passaggio del sangue.

Più presto si agisce riaprendo la coronaria, più piccolo sarà il pezzo di cuore perduto. È importante quindi, se si accusano sintomi sospetti per un infarto, rivolgersi immediatamente al Pronto Soccorso. La disostruzione, per essere efficace, deve avvenire entro poche ore.

Possiamo prevenire l’infarto? Le cause dell’aterosclerosi non sono ancora state comprese fino in fondo dalla scienza medica. Si sa soltanto che in presenza di alcuni fattori di rischio la probabilità di ammalarsi è maggiore. I principali fattori di rischio sono: il fumo, la pressione arteriosa alta, il colesterolo alto, il diabete. Ma quante volte sentiamo chiedere: “Come mai Tizio che non ha mai fumato, non aveva il diabete né il colesterolo ha avuto l’infarto?” Oppure: “Come mai Caio che ha sempre fumato e mangiato in modo esagerato è arrivato a 90 anni senza aver mai avuto niente?”

Una risposta definitiva purtroppo non c’è, salvo il fatto che esiste senz’altro un’ereditarietà anche nell’aterosclerosi, cioè da quando nasciamo siamo più o meno predisposti ad ammalarci. Questo non deve indurci però ad abbassare la guardia sui fattori di rischio. Fattori di rischio significa che se uno prende 100 persone che hanno fattori di rischio e 100 persone che non li hanno, nel primo gruppo si ammaleranno molte più persone che nel secondo.

Sta a noi quindi scegliere: stare nel secondo gruppo scegliendo di condurre una vita sana, tenendo sotto controllo i fattori di rischio, o stare nel primo gruppo, sperando di avere la fortuna di Caio. 

 

dott.ssa Lorella Dreas, cardiologa

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