“dal Mago”, il teatro nascosto

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Michele Tomaselli

16 Gennaio 2014
Reading Time: 7 minutes

L’ex Cinema Maran a San Giorgio di Nogaro

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Incamminarsi qua e là per l’Italia, alla ricerca di luoghi che sussurrano vecchie memorie: vi è, infatti, qualche possibilità di indagare a fondo nel territorio, alla riscoperta di piccoli tesori, curiosità, storie locali e segreti nascosti. Il territorio è un mosaico incerto e mutevole, che ruota attorno ai suoi ricordi. Un percorso a ritroso nel tempo che descrive l’evoluzione sociale ed economica di una terra attraverso i suoi principali riferimenti.

Tracce formidabili di un passato non troppo lontano che riaffiorano nei meandri di qualche biblioteca. Fra tutti i riferimenti della Bassa friulana, ho potuto riscoprire e apprezzare la storia del Teatro Maran – per tutti i sangiorgini il mitico cinema dal Mago – che fu al centro della scena sociale e culturale del Novecento di San Giorgio di Nogaro. In questo luogo, fino al 1915, si respirava l’atmosfera inebriante della Bella Epoque, mentre neanche dieci anni dopo, nel suo apice di gloria, vi era ospitato il VI Congresso della Società Filologica Friulana, solo per quell’unica volta celebrato sulla sponda occidentale dell’Ausa Corno.

Non è possibile parlare della storia di San Giorgio di Nogaro, senza conoscere la storia del teatro Maran. Anche se il mitico cinema dal Mago non esiste più da oltre trentasette anni, i suoi ricordi sono ancora vivi. Ha, infatti, vissuto da testimone la sorprendente evoluzione delle tecniche cinematografi che: dalla lanterna magica al cinema muto (anni 1911 – 1916), al cinema sonoro (dopo il 1925), al cinemascope (dal 1953 al 1963). Inoltre, era sempre alla ribalta delle cronache locali per le feste e le commedie. Ogni sangiorgino di una certa età è cresciuto frequentando questo cinema.

L’attuale proprietaria, Ernestina Maran, custodisce il suo ricordo e ogni tanto apre le porte. Visitando questo luogo, è stato davvero un grande piacere conoscere Ernestina, una donna dal gran portamento e profonda cultrice della storia del Novecento. I suoi ricordi e le sue testimonianze sono talmente vivi, che sembra di riviverli. Un viaggio in pellicola che ripercorre tutto il XX secolo, dalla Belle Epoque alla Prima e alla Seconda Guerra Mondiale, fino al boom del Dopoguerra.

Pronti, attenti, via: ciak si gira!

Il Teatro Maran venne fatto costruire nel 1911 da Ernesto Maran. Quella dei Maran era una nota famiglia di falegnami e produttori di camere da letto, che, già da tempo, viveva nei pressi della stazione ferroviaria di San Giorgio di Nogaro.

Nel 1905 Ernesto, assieme al padre Geremia (Mio), vendette alla famiglia Rossetto di Udine la loro casa, che in seguito venne trasformata nell’albergo Libia, per costruire, poco più in là, una nuova casa padronale, nel suo arioso stile liberty.

San Giorgio di Nogaro, allora ultimo paese del Regno d’Italia, era al centro di numerosi traffici commerciali con l’impero austroungarico. Per raggiungere il confine di Tre Ponti a Cervignano era necessario valicare la frontiera ed espletare tutte le formalità burocratiche. Succedeva spesso di dover attendere parecchie ore prima della ripartenza.

Fu per questo motivo che, nelle vicinanze della stazione ferroviaria, iniziarono a fiorire svariate attività commerciali, fra le quali, oltre agli alberghi Costantini e Libia, anche il Teatro Maran, realizzato in quel periodo con annessa sala da ballo.

La sua configurazione architettonica appariva molto originale, sviluppata attorno a una struttura esagonale con copertura a pagoda. L’apparato interno, costruito su due livelli di palchi e sorretto da colonnine in legno a capitelli decorati, comprendeva ordini speculari di galleria, fra cui i prolungamenti laterali, dai quali gli spettatori più abbienti potevano assistere alla messa in scena. Il resto del pubblico si collocava invece nella platea.

Il teatro era stato concepito sul modello del Teatro Sociale di Udine, con qualche riferimento alla Scala di Milano e alla Fenice di Venezia. Il nuovo edificio fu così annoverato fra i teatri del circondario, in un elenco che riportava, oltre al Teatro Maran, il Teatro Sociale di Udine, il Teatro Sociale di Gorizia, il Teatro di Cormòns dell’architetto Trombetta e il Teatro Gustavo Modena di Palmanova.

Durante la Prima Guerra Mondiale, per oltre un anno, divenne sala di studio dell’Università Castrense, che aveva bisogno di spazi. A San Giorgio, infatti, dopo le prime e sanguinose battaglie sul Carso, vista la carenza di personale sanitario, erano stati istituiti corsi accelerati di medicina e chirurgia per gli studenti aspiranti medici che erano impiegati sotto le armi. In particolare tutti gli studenti del quinto e del sesto anno degli atenei italiani, laureandi in medicina e chirurgia, venivano assegnati all’Università Castrense, nell’ospedale da guerra più grande d’Italia (fino a 3.500 posti letto in un paese che contava 4.500 abitanti) per divenire medici del fronte.

Sicché San Giorgio di Nogaro si era trasformata in una capitale della III Armata con il proprio arsenale; vi si trovavano depositi di munizioni, cannoni, accampamenti e ospedali. Gli studenti della Castrense studiavano, ascoltavano e apprendevano l’anatomia con arti mutilati e salme. All’università della Guerra, così chiamata da alcuni docenti contrari alla sua formazione, si laurearono, fra il 1916 e il 1917, 467 studenti su 1.187 allievi, molti dei quali poi uccisi sui campi di battaglia.

Ma finalmente anche il conflitto ebbe fine e il Teatro Maran fu restituito alla sua funzione, tanto che, negli anni Venti, fu continuamente alla ribalta delle cronache locali per l’alto numero di spettacoli eseguiti e per l’arrivo dei primi fi lm. Era arrivato il Cinema Muto che descriveva in pellicola le storie e i cambiamenti sociali del primo Novecento. Gli attori e le attrici venivano considerati quasi delle divinità.

Il 22 gennaio del 1921, in occasione del Carnevale, si svolse una grande veglia danzante. La festa, organizzata dalla Società Sportiva Sangiorgina, aveva previsto un variegato assortimento di premi e anche l’acclamazione della Reginetta della kermesse.

Nel 1925, una stagione teatrale di grande successo e l’esibizione del concittadino Edoardo Tonazzi, esperto di ipnosi e telepatia, registrarono il tutto esaurito.

Il teatro era chiamato Là dal Mago: il termine era stato affibbiato dai maranesi a Mio Maran, che, allorquando si recava dalla vedova Raddi a Marano Lagunare, proiettava con una lanterna magica (l’antenata del proiettore cinematografico) figure di animali esotici e immagini di luoghi italiani. Fu per questo motivo che i maranesi, incuriositi dall’innovazione, cominciarono a dirgli «te xe un mago» («sei un mago»).  L’appellativo, rimasto poi per tutti gli eredi, fu rinforzato da voci popolari che volevano Alcide, figlio di Mio, noleggiatore di taolàz (tavoli), indovino del tempo, filantropo e baciato dalla fortuna. Una caratteristica, quest’ultima, che riguardò tutta la famiglia Maran, in particolare quando Ernesto nel 1932 vinse una lotteria da 350 mila lire. In quell’occasione la famiglia dimostrò tutta la sua generosità donando denaro e prodotti alimentari alla popolazione.

Continuando la saga del Teatro Maran, si scopre che il 25 settembre 1925 in occasione del VI Congresso della Società Filologica Friulana, che aveva scelto quell’unica volta San Giorgio di Nogaro, all’ora dal gustà, tutti i partecipanti si trasferirono in sala Maran per il pranzo. La non facile impresa di fornire il cibo a duecento e più persone fu assunta dal signor Benedetto Beltrame dell’albergo Italia di Udine. Il menù, rigorosamente friulano, comprendeva minestra, carne, verdura cotta, pesce, radicchio, formaggio, vino bianco e nero. Di quel pranzo esiste una bellissima foto con i commensali seduti a tavola. Si potranno riconoscere due delle giovani proprietarie, Roma, moglie di Decio Maran, e Lucia, moglie di Ernesto. Promotori di questa storica giornata furono il linguista Ugo Pellis, lo storico Bindo Chiurlo e il conte Giovanni Battista della Porta.

Arrivò poi il tragico periodo della Seconda Guerra Mondiale. In Friuli, nella ricostruita regione del Litorale adriatico, le incursioni aeree si facevano sempre più frequenti. Sul finire del ‘44 alcune bombe colpirono pesantemente San Giorgio di Nogaro. Si ricorda in particolare quella sulla stazione ferroviaria che provocò danneggiamenti anche al Teatro Maran. Dopo la liberazione, tuttavia, le truppe angloamericane scelsero il Teatro Maran come luogo di svago e sala da ballo.

Finita la guerra e ripresa l’attività, la sala Maran non mancò di far parlare di sé, come la volta in cui il parroco, don Oreste Rosso, prese a calci l’altoparlante del palcoscenico, quando fu trasmesso il lungometraggio diviso in due parti, Noi vivi (94 min.) e Addio, Kira (96 min.), con Alida Valli, Rossano Brazzi e Fosco Giacchetti. Si trattava di un dramma a tinte forti, in cui gli intenti propagandistici venivano stemperati da una robusta messinscena e da una sceneggiatura (scritta anche da Corrado Alvaro) in cui trasparivano allusioni critiche al fascismo: film considerato antitotalitario e quindi da censurare.

Poi, finalmente, si iniziarono a trasmettere i capolavori del cinema neorealista dei registi Roberto Rossellini, Luchino Visconti, Vittorio De Sica, Michelangelo Antonioni, opere di elevata espressione artistica che incantavano anche i sangiorgini, sempre più affamati di cinema. Il mondo dello spettacolo stava rapidamente cambiando, con il cinemascope, antenato del moderno formato cinematografi co. Anche il teatro Maran si adattò ai cambiamenti, tanto che, nel 1959, dopo una ristrutturazione che ne modificò i caratteri, prese il nome accattivante di Cinema Splendor. Inevitabile fu l’abbattimento delle gallerie, del palcoscenico, mentre i palchi scomparvero sotto un rivestimento. Inoltre venne aperto un nuovo ingresso, fruibile direttamente dalla facciata di villa Maran.

Negli anni Sessanta la gestione del Cinema fu affidata a Decio, figlio di Ernesto, e ai suoi rispettivi fi gli Otello, Mario, Ernestina, Laura e a Olinto, nipote di Ernesto.

In quel periodo vi erano i militari e la sala era sempre piena. Si proiettavano i grandi colossal hollywoodiani e i film di Franco e Ciccio, ma l’edificio costituiva anche la balera del carnevale sangiorgino, (veglioni del Marinaio e del Cacciatore) e il luogo d’incontro per le prime cotte amorose: un mondo ormai dovunque scomparso.

Per giungere lentamente verso l’epilogo: morto Decio Maran, il Cinema Splendor chiuse definitivamente i battenti. Era il 1976.

Chissà se in futuro potremo vederlo rinascere e celebrarvi un nuovo Congresso della Società Filologica Friulana. 

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