Respirando la bellezza

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Margherita Reguitti

9 Marzo 2021
Reading Time: 7 minutes

Alvise Rampini

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Un architetto, classe 1963, un amante dell’arte e della bellezza, uno spirito libero, ottimista e positivo, un operatore nel settore dell’arte e della cultura sempre in cerca di nuove sfide. Un uomo di relazioni, capace di far incontrare e di trasmettere come docente le competenze frutto della sua formazione ed esperienza.

Un eclettico con una forte dedizione al suo lavoro che considera la bellezza, l’aria giusta da respirare.

Alvise Rampini, direttore del CRAF – Centro di Ricerca e di Archiviazione della Fotografia di Spilimbergo, organizzatore di importanti mostre e docente universitario, è un udinese con radici in laguna, essendo nato a Venezia dove è tornato dopo il liceo per laurearsi brillantemente in Architettura. Senza nostalgia considera il Friuli la sua vera patria per la quale svolge un’attività nel settore culturale da oltre 30 anni. Un lavoro che gli piace molto.

Lei si è laureato con il massimo dei voti e la lode: come mai non ha poi proseguito su questa strada che si preannunciava ampia e luminosa?

«Perché mi sarei sentito troppo vincolato dalle dinamiche di uno studio di progettazione, da una committenza che avrebbe limitato la mia creatività. Così ho preferito cambiare rotta».

Com’è avvenuto l’incontro con l’arte, la fotografia e quindi la progettazione e realizzazione di mostre e convegni?

«Devo fare una premessa: grazie ai miei genitori, a mio padre (Giampaolo, restauratore e grande conoscitore dell’arte antica noto a livello internazionale, n.d.r.) ho avuto la fortuna di crescere nella bellezza e nell’arte. Musei, dipinti, mostre hanno fatto parte della mia formazione sin da piccolo in modo naturale e questo ritengo mi abbia formato e preparato a certe scelte. Già a 15 anni sono stato folgorato dalla fotografia osservando mio padre che scattava, sviluppava e stampava sempre un gran numero di immagini legate al suo lavoro ma anche alle sue passioni. Ho iniziato ad allestire la mia camera oscura con un ingranditore e tutto quello che serviva per essere autonomo in tutte le fasi. Una passione ritrovata e approfondita all’Università, dove seguii un corso con il grande fotografo friulano Italo Zannier. Con lui ho imparato non solo le tecniche ma ho studiato la storia della fotografia che in regione ha avuto e ha grandi esponenti».

Quando sono arrivate le prime offerte di lavoro?

«Molto presto, dopo la laurea e dopo aver capito che non avrei fatto l’architetto, ho avuto la fortuna di lavorare nella Fototeca dei Civici Musei di Udine accanto a Cristina Donazzolo Cristante che ne era la responsabile. Sono rimasto affascinato dal mare magnum di migliaia di scatti della città realizzati sin dall’Ottocento. Ho preso allora la decisione: avrei messo le mie conoscenze apprese durante gli anni di studio allo IUAV al servizio di progettazione e costruzione non di case ma di mostre».

In questo lei è stato anticipatore: oggi in giro per il mondo vi è sempre di più una contaminazione fra architettura, design, arte, musica ed esperienze multimediali.

«Era il momento giusto per provare a fare in modo nuovo qualcosa di antico: nell’organizzazione di mostre fino agli anni ’80 era possibile essere molto creativi. La mancanza di normative e di strutture lo rendeva possibile e necessario. Era tutto molto bello e stimolante».

Mai avuti rimpianti?

«Assolutamente no. Ho messo a frutto con grande soddisfazione quanto appreso alla facoltà di Architettura con insegnanti del calibro di Ennio Concina, docente di Storia dell’Architettura. Ho imparato cosa significa conseguire le capacità tecniche e organizzative ma ho anche studiato la storia dell’arte, conoscenza fondamentale. Gli anni dell’università sono stati molto belli, respiravo l’aria nativa, mi muovevo a mio agio in una città tanto fascinosa, che conoscevo».

Erano anni nei quali molti friulani e udinesi in particolare sceglievano Venezia per gli studi universitari.

«Vi era una grande comunità di friulani, soprattutto ad Architettura. Ricordo con piacere Stefano Gri, oggi professionista di fama. Era stato mio compagno alle elementari: era già un vero talento, confermatosi poi».

A seguire l’incontro con il pittore Giuseppe Zigaina, con il quale ha collaborato per molti anni alla Triennale europea dell’Incisione.

«Dopo un’esperienza con Isabella Reale, ho iniziato la collaborazione con il ruolo di direttore organizzativo dell’associazione presieduta dal maestro Zigaina fino al 2000. Un’esperienza che mi ha dato tanto. Il solo ascoltare il maestro durante le lunghe trasferte a Lubiana o a Trieste è stato un privilegio, anche se il suo carattere autoritario è stato spesso origine di conflitti. Belli, ma molto difficili quegli anni».

Altro suo maestro?

«Certamente Giuseppe Bergamini, direttore dei Civici Musei di Udine, oggi del Diocesano. Persona umile e preparatissima che mi ha coinvolto nella attività museale come nel 2012 con il Tiepolo a Villa Manin».

Da un’esperienza direzionale organizzativa a quella della docenza universitaria. Che affinità fra le due?

«Molte, direi un’osmosi di conoscenze ed esperienze dal mondo del lavoro a quello della formazione. Un principio sempre più forte negli ultimi anni. Dal 2005 al 2018 ho insegnato organizzazione e promozione degli eventi culturali, mentre negli ultimi due anni ho tenuto dei corsi di museologia per il turismo».

Com’è cambiato il rapporto tra professori e studenti?

«Oggi i docenti sono molto più attenti alle esigenze degli studenti. Ai miei tempi l’atteggiamento era autoritario. Trovo che i miei studenti siano una bella gioventù, con le idee chiare su quello che faranno. Le ragazze più dei ragazzi. Sono avanti anche grazie agli strumenti per studiare, fare ricerca, redazione di testi e studi che noi non avevamo».

Lei ha allestito mostre molto diverse, da Tiepolo a Mimmo Paladino. Come è cambiato il modo delle esposizioni d’arte in questi anni?

«È cambiato tutto. All’inizio della mia attività, nel percorso vi erano “spiegoni” con testi impegnativi che richiedevano tempi lunghi di lettura da parte del visitatore. Oggi l’approccio è veloce, testi brevi e molta grafica, sagome, tanto colore e strutture che interagiscono con l’opera e il contenitore della mostra. I supporti didattici sono multimediali e tendono a incuriosire e a fornire informazioni divertendo. Ieri gli allestimenti erano sobri, filologici e molto ponderati».

Quante mostre ha allestito nella sua carriera?

«Quasi un centinaio. L’ultima è stata la mostra fotografica “Tra vecchio e nuovo. Il Friuli si racconta”, corredata da un catalogo realizzata dall’IRPAC – Istituto regionale di Promozione e Animazione culturale, quello che considero uno scrigno tutto mio, allestita nella chiesa di San Francesco a Udine».

Anche a Spilimbergo, nella sede del CRAF, durante questo anno di pandemia sono state realizzate due manifestazioni espositive. Quale sarà l’impronta qualificante che lei intende dare alla sua direzione?

«La mia volontà è di creare una domus dei fotografi regionali che possa in futuro essere un archivio di testimonianze ed esperienza utile a chi vorrà studiare il percorso della fotografia in Friuli Venezia Giulia. Intendiamo realizzare delle interviste video nelle quali i fotografi si possano raccontare e spiegare il loro lavoro e la loro poetica di rappresentazione. Abbiamo in programma di documentare sia il lavoro dei maestri sia quello di altri autori, magari meno conosciuti ma altrettanto interessanti. Un lavoro democratico nel quale tutti abbiano il giusto spazio che sarà anche un grande archivio multimediale. Oltre a ciò vi è la volontà di potenziare la comunicazione e la promozione attraverso i social con incontri e approfondimenti. In questo anno sono state allestite due mostre a cura dello staff che ha dato prova di grande professionalità e affiatamento».

Lei ha 4 figli, cosa auspica per il loro futuro?

«Di trovare la loro strada professionale. Di intraprendere un lavoro, non necessariamente creativo, che dia loro la possibilità di vivere autonomamente e che soprattutto gli piaccia. Per fare questo il mio impegno è nel fornire un indirizzo di istruzione e formazione e di incentivare le loro qualità per poi avere gli strumenti per proseguire nella vita e crescere».

Per che cosa ringrazia i suoi genitori?

«Per avermi trasmesso dei valori importanti. Da mio padre ho ricevuto un’impronta di umiltà nell’affrontare la vita e una grande dedizione al lavoro. Mio padre è stato forse non molto presente nella mia vita perché fortemente concentrato nel lavoro ma è stato un grande esempio. Oltre a ciò mi ha insegnato a cercare e riconoscere la bellezza nell’arte e nella natura, in ciò che ci circonda. Non è mai stato imperativo nel portarmi a frequentare musei e gallerie, non c’è stata costrizione. Tutto è avvenuto naturalmente, come un bel gioco. Vivere in una famiglia amante del bello è stato come respirare l’aria giusta».

 

Alvise Rampini vive a Udine ma è nato nel 1963 a Venezia dove si è laureato nel 1990 all’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, con votazione 110/110 con lode. Dall’inizio degli anni Novanta si occupa dell’organizzazione, progettazione e promozione di mostre d’arte e di eventi culturali per varie importanti associazioni, come la Triennale Europea dell’Incisione, l’IRPAC – Istituto Regionale di Promozione e Animazione Culturale e altre istituzioni del Friuli Venezia Giulia. Le sue competenze spaziano dall’arte antica alla contemporanea, dalla pittura alla fotografia. Nell’arco di 30 anni di attività ha organizzato e diretto un centinaio di esposizioni e curato altrettanti cataloghi e pubblicazioni. Dal 2005 docente a.c. all’Università di Udine. Dal febbraio 2020 è direttore del CRAF – Centro di Ricerca e Archiviazione della Fotografia di Spilimbergo.

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