Commedia fra le più celebri di Oscar Wilde, scritta nel 1893, prima in cartellone di un percorso che propone uno stimolante confronto fra teatro e cinema, Il marito ideale compone, con Il ventaglio di Lady Windermere e Una donna senza importanza la trilogia detta dei “society dramas” che precedono il titolo più famoso di Wilde, L'importanza di chiamarsi Ernesto. Già in questi primi testi, popolati dai tipici personaggi dei drammi salottieri - dall'avventuriera alla moglie leale ma poco elastica, dal figlio illegittimo al dandy cinico - è evidente la genialità l’autore che con conversazioni brillanti, osservazioni irriverenti e frivole, insinua critiche velate, ma feroci alla società borghese che sembra celebrare. Ne Il marito ideale la "donna con un passato", al corrente della grave scorrettezza con cui Sir Chiltern, sottosegretario agli Affari esteri, fondò la sua fortuna economica, ricompare per ricattarlo e costringerlo ad avvallare una speculazione con denaro pubblico?
È proprio il tema della corruzione politica ad aver catalizzato l'interesse di Roberto Valerio, regista e attore quarantenne che nella stagione 2008 aveva messo a segno un bel successo con il pasoliniano Vantone. Partendo da questa idea ha scarnificato il testo che, ridotto all'essenziale, offre un'ottima sponda per interrogativi di sconcertante attualità: è possibile una politica senza compromessi? La questione morale è un fatto privato o pubblico? Esiste ancora un limite oltrepassato il quale si prova vergogna delle proprie azioni?
La regia di Valerio porta alle estreme conseguenze la satira feroce contro le ipocrisie della società. "È soltanto negli specchi che bisogna guardare. Perché gli specchi ci mostrano solo le maschere". Così sentenzia il disperato e tragicomico Erode della Salomè wildiana, fantasmagorica pièce assurta a emblema del teatro simbolista e di svariati alfieri d'avanguardie vecchie e nuove. E a queste parole sembra ispirarsi Valerio.
Commedia farsesca, giocata sul feroce slittamento dei piani di verità, in cui niente è mai come sembra: a farla da padrone è il plesso di simulazioni e dissimulazioni cui si trovano costretti a precipitare i personaggi, nell'irrealizzabile velleità d'esser ciò che, puntualmente, non sono.
Il piano utopico dell'uomo provetto, consorte ideale, politico idealista e probo, si rovescia nella sarcastica distopia della menzogna, necessaria per non perdere tutto quel che ha accumulato in una vita intera, macchiata da un solo, ma imperdonabile, peccato originale. L'ironia di Wilde, che tutto condisce attraverso una scherma testuale di fulminanti aforismi passati poi alla storia, è però assai più profonda, spietata, corrode dall'interno l'involucro, la forma stessa della commedia, mediante quella che, in apparenza, è una struttura comica perfetta, di precisione e brillantezza apollinee.