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Classic art

Cabaret Yiddish

(ph. Elisa Savi)
Trieste
Salone degli Incanti
02/10/15
21

La performance ha il suo fuoco nella lingua, la musica e la cultura Yiddish (quell’inafferrabile miscuglio di tedesco, ebraico, polacco, russo, ucraino e romeno); la condizione universale dell’Ebreo errante, il suo essere senza patria sempre e comunque. Non a caso da queste riflessioni in una veste "da camera", prende spunto anche il lavoro forse più celebre di Moni Ovadia, il fortunatissimo "Oylem Goylem".

Si potrebbe dire che lo spettacolo abbia la forma classica del cabaret comunemente inteso. Alterna infatti brani musicali e canti a storielle, aneddoti, citazioni che la comprovata abilità dell’intrattenitore sa rendere gustosamente vivaci. Ma la curiosità dello spettacolo sta nel fatto di essere interamente dedicato a quella parte di cultura ebraica di cui lo Yiddish è la lingua e il Klezmer la musica.

Uno spettacolo che “sa di steppe e di retrobotteghe, di strade e di sinagoghe”. Tutto questo è ciò che Moni Ovadia chiama “il suono dell’esilio, la musica della dispersione”: in una parola della diaspora.

La musica Klezmer deriva dalle parole ebraiche Kley Zemer, che si riferiscono agli strumenti musicali (violino ed archi in genere e clarinetto) con cui si suonava la musica tradizionale degli Ebrei dell’est europeo a partire all’incirca dal XVI secolo. Ed ecco, dunque, che Moni Ovadia rivive quelle atmosfere anche grazie ai suoi compagni di viaggio: con lui a Trieste sono Maurizio Dehò al violino, Paolo Rocca al clarinetto, Albert Florian Mihai alla fisarmonica e Luca Garlaschelli al contrabbasso.

"Gli umili - spiega lo stesso Ovadia - che hanno creato tutto ciò prima di poter diventare uomini liberi, sono stati depredati della loro cultura e trasformati in consumatori inebetiti ma sono comunque riusciti a lasciarci una chance postuma, una musica che si genera laddove la distanza fra cielo e terra ha la consistenza di una sottile membrana imenea che vibrando, magari solo per il tempo di una canzonetta, suggerisce, anche se è andata male, che forse siamo stati messi qui per qualcos'altro".