Bellezza e tradizione

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Anna Limpido

20 Luglio 2021
Reading Time: 7 minutes

Sara Terpin

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Una fatina che racconta le tradizioni popolari cristiane e pagane della sua amata Slovenia: è Sara Terpin, giovane professoressa e traduttrice di San Floriano del Collio.

Ascoltarla mentre mi racconta dell’intaglio delle zucche come momento di preghiera, delle corone di margherite gialle e bianche per festeggiare il giorno di San Giovanni, dei riti propiziatori del Carnevale mi rapisce in un’atmosfera magica. Com’è possibile che tutto questo sia intorno a me in un territorio che mescola storie, lingue ed eredità passate, senza che io ne sappia nulla?

A offrire rimedio c’è Sara: raccontare, diffondere, aiutare la custodia di quei riti popolari appartenenti non solo alla Slovenia, ma anche ai comuni della minoranza slovena in Italia. Senza tralasciare altri aspetti: il rapporto fra Stati, l’anima intrecciata delle due Gorizie, l’aiuto linguistico, la visibilità dei territori meno conosciuti, le paure del passato, gli effetti del lockdown, il comunismo e il fascismo, gli strascichi della diffidenza e le luci nelle nuove generazioni.

Sara è una moderna guida culturale-turistica che si è distinta con il suo blog SLOvely.eu fra migliaia di altri siti nazionali e internazionali che parlano di viaggi e di cultura. Le visualizzazioni dei suoi video su facebook sfiorano quota 50.000 e, da sette anni, il suo è tra i blog più visitati in Internet per conoscere la Slovenia e i vicini territori. Non male per essere partita da zero armata solo di passione e costanza.

Le sue parole sanno di buono: di sagre popolari, di canti intorno al falò e di quel vino rosso un po’ pastoso offerto alle sagre. Sara coniuga le tradizioni, l’importanza del ponte fra le culture e una studiata tecnologia nella consapevolezza che oggi non basta fare (e fare bene), bisogna diffonderlo e farlo sapere.

Sara, riviviamo il percorso che ti ha portata a fondare il blog SLOvely.eu.

«Fin da piccola ho nutrito due grandi passioni: i viaggi e le lingue straniere. Dalla mia laurea in lingue ho proseguito con un dottorato di ricerca in germanistica e comparatistica a Monaco di Baviera, e da lì all’insegnamento il passo è stato breve. Proprio durante l’insegnamento delle lingue è nata la mia idea di SLOvely.eu: desideravo arricchire le lezioni di sloveno, non limitandomi alle sole nozioni di grammatica e ortografia, con informazioni che raccontassero anche la cultura e le tradizioni».

Il passo successivo quale fu?

«Cercando su internet vari contenuti già tradotti in lingua italiana da ritagliare per offrirli ai miei studenti, mi accorsi che non ce n’erano: incredibilmente se una persona voleva approfondire – al di là delle solite impersonali guide turistiche – fatti, eventi o percorsi della Slovenia o dei territori della minoranza slovena in Italia, questi non esistevano già tradotti. Così iniziai io a scrivere brevi testi sulle tradizioni slovene, sugli scrittori e poeti più importanti, sulle bellezze naturalistiche e artistiche; questi articoletti riscossero fin da subito molto interesse nelle mie classi. Per praticità didattica poi li raccolsi in un sito pubblico ed ecco che nacque “SLOvely”, che poi è un gioco di parole tra le lettere “Slove” come “Slovenia” e “lovely” nel senso della parola inglese per “bello, carino”. Il blog lo inaugurai ufficialmente nel 2012 e da allora si è molto modificato nella forma e nel contenuto, ampliandosi con nuove rubriche. Successivamente unii anche un profilo Instagram, una pagina Facebook e un canale su YouTube per pubblicare i video reportage».

E così un’iniziativa isolata è diventata il cuore di un grande network comunicativo…

«Dall’obiettivo iniziale, SLOvely.eu è molto cresciuto, arricchendosi non solo di rubriche ma anche di una nuova mission: fungere da ponte tra la cultura slovena e quella italiana, promuovendo la conoscenza della lingua, dei luoghi e delle tradizioni slovene in modo fresco e accattivante, facendo uso dei social media e dei moderni strumenti di comunicazione in genere. Ambizioso se si considera che questo è un progetto completamente autofinanziato e senza scopo di lucro».

Qual è il tuo pubblico medio?

«Data la varietà degli argomenti trattati, il blog attrae visitatori diversi, da chi cerca idee per un viaggio in Slovenia (approfittando del fatto che nel blog tratto soprattutto luoghi particolari al di fuori delle classiche mete turistiche) a chi è interessato alla sola gastronomia o è incuriosito dalla lingua e dalle tradizioni popolari cristiane o pagane. La pagina Facebook rappresenta poi un ulteriore strumento di divulgazione dei contenuti e di contatto con i lettori che ci scrivono per consigli, informazioni o anche solo per condividere le proprie foto e impressioni».

Parlare di viaggi e di scambi culturali oggi, con le limitazioni imposte dalla pandemia, non è semplice. Queste novità come hanno trasformato il tuo lavoro?

«Il lockdown e la chiusura dei confini tra Italia e Slovenia è stato un duro colpo per me, non potendo più viaggiare liberamente, incontrare e raccontare le persone di confine. Ho quindi deciso di promuovere viaggi virtuali: fra i tanti voglio ricordare quello organizzato tramite la pagina Facebook e grazie alla RAI regionale slovena che invitavano le persone a inviare video in cui la gente intonava (in sloveno o in italiano) la canzone “Tisti ljudje” del cantante sloveno Rudi Bučar, che trasmette energia positiva e ottimismo. Al progetto hanno partecipato 40 persone da 10 Paesi del mondo, tra cui anche nomi noti dello spettacolo dal Friuli Venezia Giulia e dalla Slovenia».

Cosa pensi della rete che fu messa di nuovo sul confine a separare le due Gorizie, seppur per ragioni di sicurezza sanitaria?

«Inizialmente mi ero limitata a osservare cosa stava accadendo: ho così scoperto storie di famiglie che a causa delle restrizioni non potevano più incontrarsi ed erano “tagliate a metà”, storie di coppie e amici che avevano trovato come unico punto d’incontro possibile la piazza della Transalpina, storie di piccolo contrabbando, di difficoltà degli imprenditori e agricoltori locali ma anche di speranza e di iniziative volte a riunire anziché dividere. Sono stata promotrice di diverse iniziative, tra cui il documentario “GO-VID Quando riappare il confine”. Si tratta di un filmato di mezz’ora circa, realizzato con Carlo Ghio che ne ha firmato la regia, che cerca di catturare gli eventi e l’atmosfera di quel periodo attraverso i racconti e le emozioni delle persone che vivono lungo il confine. Si presenta quindi come un’istantanea di un momento storico non facile, da cui emerge un forte desiderio di stare insieme e superare le divisioni, nella speranza che nessun confine separi più le due comunità. Ciò che mi rende orgogliosa è che il documentario era in gara al Festival del Cinema Sloveno di Lubiana ed è stato proiettato in una delle più importanti sale cinematografiche slovene, portando così la storia del nostro territorio transfrontaliero fino alla capitale slovena e quindi a un pubblico ancora più vasto».

Qual è secondo te lo stato di salute del rapporto tra Gorizia e Nova Gorica e, più in generale, della comunità italiana con quella slovena?

«Negli ultimi 15 anni c’è stata un’enorme apertura all’incontro da parte di entrambe le comunità, italiana e slovena; penso soprattutto alle scuole di lingua slovena che oggi accolgono sempre più bambini non appartenenti alla minoranza. Questo è un segnale importantissimo, una volta impensabile sia per chi poteva iscrivere sia per chi doveva accogliere e fa ben sperare nel futuro perché, attraverso la lingua e la crescita scolastica, la comunità italiana viene a conoscenza del mondo culturale sloveno, delle tradizioni, dello stile di vita, una conoscenza che è mezzo di reale integrazione. Di questo me ne accorgo anche oltre all’età scolare, ad esempio nei corsi di lingua per adulti. Però, se da un lato riconosco tutto questo, dall’altro mi dispiaccio che esista ancora uno zoccolo duro di persone che alimentano, tentando di perpetrare antichi asti, un’accesa contrapposizione. Per fortuna sono stati fatti passi da gigante: mi auguro che la nomina congiunta di Gorizia e di Nova Gorica a Capitale Europea della cultura apra un percorso nuovo».

Attraverso il blog, sveli l’animo più autentico della tua Slovenia: i riti, le tradizioni e le usanze. Quali sono quelle che un abitante del confine goriziano dovrebbe conoscere?

«Confesso la mia enorme passione per l’etnografia e per tutto ciò che riguarda le feste tradizionali e le usanze collegate. Tra queste voglio ricordare, ad esempio, il giorno di San Martino che celebra l’arrivo dell’autunno con feste per la ricchezza del raccolto maturato. Poi Ognissanti, “Vsi sveti” in sloveno, al posto dell’Halloween americano, quando in famiglia si intagliano le zucche per riporci dentro una candela. Poi c’è la festa del Primo maggio (prvi maj in sloveno): in Slovenia ci sono ben due giorni di vacanza, l’1 e il 2 maggio. Una delle usanze più diffuse per questa festività è l’accensione di un grande falò, di solito sulla sommità di una collina, intorno al quale si radunano persone di ogni età che cantano, bevono e condividono il cibo. Falò e buon cibo vengono accesi anche nella notte di San Giovanni, il 24 giugno, giorno legato al culto del fuoco e del sole. La particolarità di tutte queste usanze è che alla base si cela un’anima molto più antica, arrivata fino ai giorni nostri “travestita” da gesti e usanze legate alle festività cristiane. Scavare nel loro significato più profondo è in un certo senso un tentativo per risalire a un passato lontanissimo dove si adorava quello che era considerato essenziale nella sua semplicità: la natura, la fertilità delle donne e il susseguirsi prospero delle stagioni».

Rivelare il passato di certi riti ha un senso quasi intimo e privato. Come li hai vissuti tu in prima persona?

«Sono legata con profonda riconoscenza a questi racconti perché rappresentano un momento di sincera condivisione con il senso più puro e autentico della nostra terra e della gente che, ad esempio nelle Valli del Natisone e a San Floriano del Collio, hanno custodito, e molto gelosamente, riti e usanze, tramandandoli con amore e dedizione e onorandomi di essere parte della loro comunità».

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