Con Numero Primo, prodotto da Jolefilm, Paolini apre una nuova stagione degli Album, gli spettacoli nei quali ha coniugato, fra il 1987 e il 2003, l’autobiografia e il ritratto generazionale. A differenza degli altri Album, questo nuovo spettacolo non guarda al passato ma al futuro e parla in modo diretto dell’oggi, della realtà attuale.
Marco Paolini e Gianfranco Bettin, coautori di questo lavoro, sono partiti da alcune domande: quale è il rapporto di ciascuno di noi con l’evoluzione delle tecnologie? Quanto tempo della nostra vita occupano? Quanto sottile è il confine fra intelligenza biologica e intelligenza artificiale? Se raccontare storie ambientate nel futuro prossimo è un esercizio confinato nel genere della fantascienza (molto praticata da letteratura e cinema ma poco diffusa a teatro), allora Numero Primo è un esperimento di fantascienza narrata a teatro, ma agli autori non piace chiamarla così.
"Parlerò della mia generazione alle prese con una pervasiva rivoluzione tecnologica, - scrive Paolini - parlerò dell’attrazione e della diffidenza verso di essa, del riaffiorare del lavoro manuale come resistenza al digitale. Parlerò di biologia e altri linguaggi, ma lo farò seguendo il filo di una storia più lunga, che forse racconterò a puntate come ho fatto con i primi Album".
Numero Primo è anche il soprannome del protagonista, un bambino di 5 anni, dai tratti teneri e inquietanti, figlio di Ettore: in scena il racconto del viaggio di un padre e un figlio nel Nord Est italiano, fra le nevrosi della modernità, l’invadenza della tecnologia e alcuni scenari fantascientifici.
Grazie a una lunga serie di anteprime, Paolini ha messo a punto, a contatto diretto con il pubblico, una precisa struttura narrativa, in cui ha il compito di rendere credibili cose possibili domani ma che oggi appaiono inverosimili. L’orizzonte temporale immaginato riguarda i prossimi 5000 giorni, e solo pensando a quanto il mondo delle cose sia cambiato nei 5000 giorni appena trascorsi risulta quantomeno necessario guardare al futuro con il beneficio del dubbio rispetto a ciò che oggi è ancora inverosimile. Uno spettacolo non apocalittico ma nel quale, certamente, alla nota comica si affianca una forte tensione drammatica, legata in particolare al sentimento della paternità.