Una vita a fumetti

imagazine claudio pizzin

Claudio Pizzin

22 Aprile 2022
Reading Time: 5 minutes

Paolo Mizzan

Condividi

Da una parte l’impegno nell’azienda di famiglia. Dall’altra la passione per il cinema, in particolare per la regia. Fino alla “fuga” a Roma per sostenere l’esame attitudinale alla Libera Università del Cinema, risultando il più idoneo. Ma problemi familiari e lavorativi obbligano a una scelta. E Paolo Mizzan sceglie di mettere da parte i sogni e tornare a casa, a Trieste.

Ma i talenti artistici non si possono reprimere. Anzi, creano nuove idee e progettualità. Scoprendo che per fare il regista non servono necessariamente attori o produttori. Perché le proprie storie visive possono arrivare al grande pubblico anche in altri modi.

Paolo Mizzan come si è avvicinato al mondo dei Graphic Novel?

«Al di fuori degli ‘albi’ a fumetti che tutti leggevamo da piccoli, esiste una grande letteratura di romanzi rappresentati a fumetti, volumi autoconclusivi, detti Graphic Novel. Mi sono avvicinato a questo modo di racontare poiché, essendo un po’ improbabile realizzare una mia aspirazione giovanile, ovvero creare sceneggiature per il cinema, ho realizzato che scrivere e disegnare un Graphic Novel è come girare un film, in cui crei tu il soggetto, la sceneggiatura, scegli i volti dei personaggi, le ‘location’ che illustri, i testi e i dialoghi. E tutto questo nella tua stanza, come un regista che non ha bisogno di produttori».

Da dove trae ispirazione?

«Mi ispiro a soggetti che mi passano per la mente e provo a trasformarli in romanzi a fumetti, sebbene li ‘penso’ sempre rubando alcuni meccanismi al cinema: la voce fuori campo, molte vignette larghe come in ‘cinemascope’, aperture o chiusure in dissolvenza… Sono aspetti che non sempre si trovano nei fumetti, ma da cinefilo cerco di adattarli».

Da dove nasce la sua abilità nel disegno?

«Scherzando cito sempre le origini fiamminghe di mia madre, ma temo di non avere niente in comune con i pittori di quella scuola. Però quando da ignorante del campo ho provato a disegnare e soprattutto a colorare (sono pure daltonico) mi è venuto naturale non usare un tratto ‘pulito’ o colorazioni curate, elementi maggioritari nei fumetti, bensì far prevalere un tratto cosiddetto ‘sporco’ e delle colorazioni prevalentemente ad acquarello, a volte fatte di getto, altre volte più curate, ma che danno un risultato che nel settore chiamano ‘pittorico’. Pur non conoscendo il mondo dei fumetti, ho visto alcuni bellissimi Graphic Novel dell’italiano Gipi:

anche lui lavora in questo modo ed è anni luce più avanti. Ma è sempre utile trovare dei riferimenti per potersi migliorare».

Nei suoi lavori c’è uno stretto legame con il territorio. Come mai?

«A proposito di luoghi, una delle mie aspirazioni è quella di rappresentare Trieste in modo sempre più suggestivo: se prima il mio legame con la città era un amore di tipo ‘filiale’, volevo cioè bene a Trieste come si può volerne a una madre, dopo le riqualificazioni il sentimento è mutato in innamoramento totale. Ora Trieste è diventata un set per molti registi, e anche alcuni fumettisti nazionali l’hanno scelta per le loro storie. Essere di Trieste ti permette di conoscere ogni angolo, ogni scorcio, ‘storie e pietre lasciate da imperi passati’ e caratteristiche, anche culturali, che chi è di fuori non potrebbe facilmente conoscere».

Quando disegna a cosa pensa?

«Il vantaggio di realizzare fumetti, rispetto a chi deve scrivere un libro, è che mentre disegni puoi pensare a tutt’altro. Disegnare è un modo di ‘entrare’ in una dimensione semi-astratta. Dicono che quando si disegna, si stimolano le ghiandole surrenali, di certo si prova una sensazione quasi terapeutica, a volte si ascolta della musica, che a sua volta stimola quella condizione di distacco, e può ispirare il modo stesso in cui si disegna».

Nella sua biografia si evince che è sempre stato attratto da ogni forma d’arte…

«Ci sono persone che hanno una predisposizione e un grande talento per una specifica arte e in quella si concentrano e ottengono i meritati traguardi, altre che, come nel mio caso, non hanno un talento specifico, ma sono attratte da tutti i campi creativi, il che non è sempre un bene. Da adolescente mi attirava la musica complessa dei gruppi prog, così da autodidatta tiravo giù parti di chitarra complicate, da lì sono passato al piano a muro e per un periodo è stata la mia passione. Ma quello che mi ha sempre attirato di più è stata la “Settima arte”. Forse perché il cinema è il luogo in cui tutte le arti creative si incontrano: letteratura, musica, immagine, messaggio».

Perché nonostante il talento non ha fatto del disegno il suo lavoro?

«Potrei scrivere un saggio su i pro e i contro di una famiglia patriarcale. Purtroppo, se ho nostalgia della iniziale bellezza di lavorare per mio padre, e gli aspetti a volte avventurosi di affrontare in famiglia le difficoltà del lavoro e della vita, alla fine quasi tutti noi figli ci siamo trovati ad aver messo da parte le nostre ambizioni e predisposizioni. Va anche detto però che in Italia non esiste la ricerca del talento, bensì è il povero ‘ta lento’ che deve cercare, con grande fatica, chi lo prenda in considerazione. Ci scherzo su, ma per definizione chi ha sensibilità creativa, raramente ha una personalità pragmatica e quindi la capacità di essere manager di se stesso. Ora in famiglia abbiamo deciso di riorganizzare gli orari e la nostra vita, così dalla scorsa estate ho iniziato a dedicarmi alle mie cose. E con i primi risultati».

Interessante il suo coinvolgimento con Lucia Krasovec nella mostra all’interno del Mercato Coperto a Trieste: in cosa è consistita questa esperienza?

«Lucia Krasovec è un’architettrice molto attiva. Ha avuto tra l’altro incarico di progettare idee di rilancio del nostro Mercato Coperto: aveva già realizzato una mostra al piano superiore, e avendo visto alcune mie vignette mi ha proposto di farne un’esposizione, che si è tenuta da luglio ad agosto 2021. Sono stato quasi imbarazzato del buon risultato, sia di visite che di commenti. Mi hanno anche proposto un manifesto pubblicitario per il teatro L’Armonia, per una regìa di Alessandra Privileggi; non avevo idea di come si facesse, però un giorno ho visto quel manifesto sui muri della città ed è stata anche questa una cosa bella e incoraggiante».

Quali sono le aspettative per il futuro?

«Dopo la mostra ho cercato di finire una delle due storie che sto disegnando. Sono due perché la prima, più lunga e più suggestiva, è ancora eterogenea nello stile, poiché di fatto imparavo a disegnare man mano che andavo avanti. La seconda è più breve e più ‘locale’, adatta a chi conosce già Trieste. Sto anche preparando delle sinossi di una decina di storie, da mandare in giro, parallelamente ad altre iniziative legate ai disegni».

 

Potrete osservare i disegni di Paolo Mizzan nell’esposizione Trieste, altrove”, che sarà allestita alla Galleria Stone a Cervignano del Friuli.

 

Visited 8 times, 1 visit(s) today
Condividi