La forza dell’amore

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redazione

16 Maggio 2022
Reading Time: 4 minutes

Giusi Maccari

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Anno 2009. Giuseppina Maccari, per tutti Giusi, non vede l’ora di raggiungere il Brasile per una vacanza con sua figlia. Un viaggio che attende con trepidazione da tempo, ignara che invece il destino stia per rivoluzionarle la vita. L’agenzia di viaggio comunica infatti che, a causa di un disguido tecnico, tutto è saltato e che per il periodo prefissato possono proporre in alternativa solo una vacanza a Malindi, in Kenya. Giusi non è entusiasta, preferirebbe le spiagge brasiliane a quelle africane, ma la sorte ha già deciso per tutti.

E così, dopo due giorni in Kenya, il mare diventa l’ultimo dei posti da frequentare.

«La visita ad alcuni orfanotrofi ha provocato dentro di me un vero terremoto. Tornata in Italia, il pensiero di quei bambini ha cominciato a farmi male. Non riuscivo a pensare ad altro. Non so se quella fosse la classica malattia africana per me, so solo che continuavo a pensare a quei bambini», confida Giusi al telefono da Malindi.

Questi pensieri dove la portarono?

«Decisi di tornare in Africa per fare qualcosa. Non è stato facile, ho dovuto superare anche la diffidenza dei miei figli, che erano contrari a questo progetto perché, essendo io ipovedente, pensavano che fosse troppo per me. Ma non mi sono arresa perché sentivo di non poter fare nient’altro. Sono tornata in Kenya in altre occasioni, visitando i villaggi interni, percorrendo migliaia di chilometri, arrivando anche in Somalia e Uganda. Ho portato con me riso, farina e fagioli cercando di aiutare quelle popolazioni. Ma la sensazione che tutto questo non bastasse non mi abbandonava. C’erano miriadi di bambini che vivevano in condizioni indicibili, abbandonati e, spesso, lasciati morire di qualche malattia oltre che di fame».

Così decise per un passo ulteriore…

«Nel 2013 affittai una casa per accogliere alcuni di questi bambini. Attualmente sono ospitati in sedici, più altri tre che vengono seguiti a distanza. Faccio tutto il possibile per loro, li tolgo dalla strada e li iscrivo regolarmente a scuola. Ho creato quasi tutto questo attingendo solo dalla mia pensione di invalidità e grazie alle donazioni di persone generose. I miei figli e i miei amici mi aiutano come possono, viste le difficoltà lavorative che devono affrontare. Non posso arrendermi, altrimenti i bambini devono tornare a vivere in strada. L’impegno inizia alle 5.30 del mattino e dura fino alle 21.30 la sera».

Un impegno totalizzante

«Ci sono due persone che mi aiutano e spesso accogliamo volontari provenienti da tutto il mondo, che per un determinato periodo ospitiamo nella casa famiglia garantendo vitto e alloggio in cambio del loro prezioso servizio in favore di questi bambini. Io cucino ogni giorno polenta e altri prodotti della terra: cibi “poveri” ma che consentono di sfamare tutti nonostante le nostre risorse molto limitate».

La popolazione e le autorità locali come vedono il suo progetto?

«Dopo i primi dubbi, la popolazione ci è vicina, anche perché cerchiamo di aiutare più bambini possibile, anche se non residenti all’interno della casa famiglia. Per quanto concerne le autorità, invece, posso solo dire che il livello di corruzione è altissimo».

Come giungono da voi i bambini che ospitate?

«In modi diversi. Alcuni vengono portati qui dalle loro famiglie perché queste non riescono più a sfamarli o non possono pagare i loro studi. Altre storie, invece, sono più dolorose: una bambina, ad esempio, l’ho trovata abbandonata in mezzo alla spazzatura; un’altra viveva da settimane sola in un bosco».

Per quanto tempo possono restare all’interno della casa famiglia?

«L’obiettivo è quello di consentire loro di completare il percorso di studi per poter imparare un mestiere e vivere in autonomia. Io non mando via nessuno: una volta trovato un lavoro i ragazzi, se lo desiderano, possono continuare a restare con noi, contribuendo alle spese e aiutando gli altri ospiti».

Quali sono i sogni delle bambine e dei bambini ospitati?

«Nei loro desideri c’è un’unica destinazione: l’Italia. La vedono come una terra promessa, inconsapevoli che da noi la realtà è diversa. Una delle ospiti, Emily, trascorrerà alcuni anni in Friuli Venezia Giulia per frequentare l’Università di Trieste. Tutti purtroppo vogliono abbandonare il Kenya, perché non vedono futuro. La grande sfida è far capire loro l’importanza di poter cambiare il proprio Paese».

Il futuro della casa famiglia invece quale sarà?

«L’età avanza anche per me, per questo sto formando una nuova persona affinché possa prendere in mano questa realtà e proseguire nel portarla avanti nel tempo. Io, ovviamente, continuerò a dare il mio contributo finché avrò forza. E spero che sempre più persone contribuiscano a sostenere questo progetto. Lo possono fare proponendosi come volontari, sottoscrivendo un’adozione a distanza o semplicemente effettuando una donazione, grande o piccola che sia. Perché qui c’è davvero bisogno di tutto».

 

Dalle semplici donazioni alle vere e proprie adozioni a distanza. Sul sito www.angels-onlus.com sono indicate tutte le modalità per sostenere l’attività di Angel’s Onlus e dei suoi giovani ospiti.

 

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