Lorenza Bellè, una giovane moglie e madre che scrive un romanzo con protagonisti i vampiri. C’è da preoccuparsi?
«Non sono una donna pericolosa... Semmai una sognatrice. E talvolta può essere una brutta cosa».
Perché?
«Di solito i sognatori vengono etichettati come pigri fannulloni. Ma io replico sempre: non andate a dirlo a Nelson Mandela, Neil Armstrong, Ernest Shackleton... E potrei continuare».
Nel suo caso i sogni sono divenuti addirittura un romanzo. Facciamo un po’ di ordine: l’idea com’è nata?
«Partiamo da un presupposto: Il sangue non mente è frutto di un sogno che ho realmente fatto, in cui i personaggi portavano già in sé un loro bagaglio storico ed esperienziale».
Tutti noi facciamo dei sogni, ma non per questo ne scriviamo un romanzo...
«Mi hanno persuasa tanti fattori, tra cui anche mio marito. È stato lui il primo al quale ho raccontato i miei sogni: ogni volta si stupiva per la quantità e la ricchezza di particolari che gli riportavo, nonché per la complessità delle vicende».
La storia si svolge nella Trieste dei giorni nostri, ma spazia dalla Costantinopoli del 517 d.C. fino all’Istria e alla Cina. Com’è nata l’idea?
«Riportare il vissuto dei personaggi è stata la scelta più impegnativa. Avrei potuto limitarmi a ricostruire solamente quella parte della storia che si sviluppa nell’età contemporanea, ma mi sembrava riduttivo perché non avrebbe dato ai personaggi il giusto spessore. E io ci tengo ai miei personaggi».
In che senso?
«Mi piace seguirli mentre si evolvono, così come mi piace dare al lettore la possibilità di immedesimarsi con qualsiasi di loro, non solo con il protagonista: per questo cerco di dare dignità ad ogni personaggio. Non mi interessa una distinzione tra eroi ed anti-eroi, ma avere semplicemente personaggi, o meglio persone, così come accade nel mondo reale in cui ognuno è il protagonista della propria vita».
E nella propria vita Lorenza Bellé quanto tempo dedica alla scrittura?
«Magari potessi avere un particolare momento della giornata! Incastro la scrittura nel primo spazio libero a disposizione. Perché alle normali attività che ogni donna, moglie e mamma è tenuta a svolgere si aggiungono i ruoli che rivesto nelle varie associazioni. Il tempo per scrivere risulta così sempre insufficiente e devo rubacchiarlo qua e là all’interno della giornata».
Non il massimo...
«Condizione pessima, direi. Scrivere, nel senso di raccontare, significa seguire il flusso di pensiero e tradurlo in parola. Ma per fare ciò c’è bisogno concentrazione, di tranquillità, di tempo. Virginia Wolf diceva che una donna per scrivere ha bisogno di silenzio e di una stanza tutta per sé...».
E lei?
«E io non ho nemmeno una stanza in cui scrivere, così mi porto in giro il notebook! La maggior parte delle volte scrivo in cucina, mentre giro il sugo e aspetto che la lavatrice finisca il ciclo per stendere il bucato; oppure fuori dalla saletta di danza dove aspetto che mia figlia finisca la lezione».
Non si può dire che le faccia difetto la tenacia...
«Spesso ho fortemente dubitato di riuscire a concludere quello che avevo iniziato. Sembrava una missione impossibile, anche perché erano ben pochi a sostenermi. Ma non mi interessava: si trattava di una sfida con me stessa, nella volontà di dimostrare che, nonostante tutto, potevo farcela».
Alla fine ha vinto lei. Una volta concluso il libro, chi è stato il primo che l’ha letto?
«Sarebbe logico pensare mio marito, invece no. Quando gli chiedevo di leggere le prime bozze per avere un’opinione, rispondeva “A me di gente che ciuccia altra gente non interessa niente”».
E quindi?
«Una sera è venuto a trovarci il suo istruttore di karate. Appena ha saputo che stavo scrivendo un libro mi ha chiesto se gli leggevo un estratto. E io l’ho fatto».
Il suo commento?
«Mi disse “Interessante, come continua?”. Non mi servì altro».
Quanto tempo ha impiegato a completare il libro?
«Ci sono voluti due anni per mettere giù la prima stesura del romanzo, alla quale sono seguite numerose rielaborazioni, fino a giungere a quella definitiva. Dal momento in cui mi sono posta di fronte a un foglio bianco sono passati circa tre anni e mezzo. Fosse per me continuerei sempre ad aggiungere o modificare qualcosa. Mio marito mi paragona a Leonardo Da Vinci».
Per la genialità?
«No, perché anche lui ritardava la conclusione delle sue opere, provando gusto nell’aggiungervi sempre qualche nuovo particolare. Forse è un modo per rimanere legati alle proprie creature o forse è sola la ricerca della perfezione in un mondo che perfetto non è».
Oltre alla letteratura e alla storia quali sono le sue altre passioni?
«Penso che non basterebbe una vita per soddisfarle tutte: spazio dall’acquariologia all’astronomia, dall’arte culinaria al karate, dal disegno al giardinaggio. Posso affermare che non mi annoio».
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