La Loggia del Lionello, cara a tutti i friulani, è il monumento più conosciuto della città di Udine che, insieme alla loggia di San Giovanni, chiude la scenografica Piazza della Libertà, definita da Foratti la più veneziana d’Italia, dopo ovviamente Venezia, e, secondo Carlo Tullio Altan, la più bella piazza in stile veneziano della terraferma. Richiami indelebili dal cuore friulano, che vogliono ricordare la dominazione veneziana di Udine, durata ininterrottamente dal 1420 al 1797. Bisogna infatti considerare che la città di Udine ambiva a divenire la seconda città della Repubblica, e anche per questo seguì il destino di Venezia.
L’arco Bollani edificato su progetto di Andrea Palladio nel 1556, e così chiamato in onore del luogotenente della Repubblica Veneta Domenico Bollani, è da sempre la cerniera simbolica e architettonica tra il potere politico rappresentato dal Castello e il potere borghese delineato dal palazzo del Lionello. Un’importante opera d’arte che, nel suo stile dorico, è divenuta un simbolo per la città. Accanto a queste preziose architetture, troviamo nella vicina via Rialto un’altra antica traccia della storia veneziana udinese. Una denominazione che traeva origine dal fatto che da questo luogo partivano i servizi di posta a cavallo per il ponte di Rialto a Venezia. Per questo motivo sorsero nella via Rialto diverse case, fra cui la quattrocentesca Casa dei Montegnacco, costituita da tre casette, che a ponente delle Case dei Casali, con un fronte su via Rialto e l’altro su via Cavour, dimostravano un singolare gusto artistico per le decorazioni ogivali in pura pietra bianca.
Queste case, riunite in un’unica proprietà, furono lungamente possedute dalla nobile famiglia dei Conti di Montegnacco, originaria della Baviera, il cui capostipite era stato Mont di Kassenberg. Si tratta dell’unico esemplare di Casa Veneziana che ha conservato nei secoli l’originaria facciata dallo stile gotico fiorito, finché fu demolita nel 1910 per far posto alla nuova fabbrica comunale dell’architetto Raimondo D’Aronco, anche se con l’intento di ricostruirla altrove. La storia di questo edificio udinese è stata indubbiamente travagliata, visto che già nel 1888 era stato oggetto di una bizzarra ipotesi, volta al suo spostamento, probabilmente finalizzato in realtà alla sua salvaguardia in considerazione del suo alto valore artistico. Vi era allora la necessità di recuperare ampi spazi per la costruzione del nuovo palazzo comunale, considerato che le superfici degli uffici comunali, degli stabili Cortelazzis e dalla Loggia del Lionello erano completamente insufficienti a garantire l’adeguata funzione pubblica.
Un problema che si era già manifestato nel 1841, quando l’ingegnere Luigi Duodo, su incarico dell’amministrazione comunale, aveva proposto una soluzione progettuale per il collocamento degli uffici comunali, erariali, amministrativi e politici. La richiesta era anche quella di dare un aspetto più decoroso alla città, eliminando le vie anguste del centro. Una soluzione rivoluzionaria, che poteva essere attuata solamente demolendo l’intera isola a ponente della Loggia del Lionello, fra piazza Vittorio Emanuele, via del Lionello, via Cavour e via Rialto, in cui si trovava appunto la Casa Veneziana.
Nel progetto del 1888, D’Aronco prevedeva di occupare soltanto metà della superficie dell’isolato mentre erano ancora in corso le trattative tra il Comune e i proprietari delle case del lotto. Per il giovane architetto non c’erano dubbi: solo una demolizione delle preesistenze poteva assicurare all’edificio quei caratteri di organicità che erano indispensabili. Da allora, molteplici e gravi problemi amministrativi misero in secondo piano la questione del palazzo degli uffici e della Casa Veneziana. Finché un sussulto di orgoglio si levò nell’agosto del 1898, quando venne stabilito di risolvere il problema assieme alla Banca d’Italia, che aveva bisogno di una sede.
Cosicché l’amministrazione comunale, cogliendo la palla al balzo, propose alla Banca d’Italia di vendere le case Cortellazis, per realizzarvi i loro uffici. Ma anche qui la proposta non ebbe esito. Nonostante questo insuccesso, la questione riemerse nel 1906, quando la Città di Udine si trovò di fronte a un’altra esigenza: l’edificazione del nuovo palazzo delle Poste e dei Telegrafi.
Ma, per realizzare quest‘ipotesi, diveniva assolutamente necessario provvedere all’abbattimento dell’intero isolato, compresa la Casa Veneziana, anche se il nuovo progetto avrebbe dovuto garantirne la salvaguardia, e della vicina Casa Susanna, sulla scorta del vincolo imposto dalla Commissione Provinciale per i Monumenti.
La Commissione, nella seduta del 4 aprile 1907, aveva infatti richiesto la conservazione dei due edifici medioevali: la Casa Susanna, dalle decorazioni a fogliame, e la Casa Veneziana.
Ma il cammino fu lungo e tortuoso: divenne inevitabile prospettare un’altra ipotesi. D’Aronco propose l’utilizzo dell’isolato a esclusivo uso comunale, trasferendo altrove, in un‘area più conveniente, il palazzo delle Poste. L’architetto D’Aronco, presentando il nuovo progetto ai signori consiglieri, li convinse della genialità della soluzione proposta, così sapientemente studiata. La configurazione architettonica aumentava il prestigio dell’autore e conferiva lustro e decoro alla città. La soluzione presentata dal D’Aronco nel 1908 venne riproposta quasi identica nelle tavole pubblicate nel 1909: il Municipio assumeva le sembianze che tuttora conosciamo, con l’entrata principale su via Lionello, che si trasformava in una piazza, grazie all’arretramento del fronte del nuovo edificio.
La casa gotica dei Montegnacco assunse un peso rilevante nella stesura del progetto del 1909, tanto che lo stesso architetto si sentì in dovere di puntualizzare tale riguardo. L’inserimento della Casa Veneziana nel corpo di fabbrica del nuovo edificio rappresentava una soluzione esemplare di restauro architettonico. Il prospetto diveniva motivo separato della nuova architettura da cui venne isolato grazie a due colonne angolari a treccia. Gli elaborati del D’Aronco però non convinsero per quella parte di facciata su via Rialto che inseriva il prospetto gotico e per le suggestioni tedesche dell’edificio; come se non bastasse, il vincolo di salvaguardia sfumò perché la Casa Veneziana non venne inserita nell’elenco dei Monumenti nazionali. Infatti, svanita la salvaguardia, la Commissione Provinciale deliberò nel giugno del 1909 che le due facciate medioevali di via Rialto potevano essere demolite. Il sindaco Pecile garantì però la loro riedificazione, rassicurando gli udinesi che la Casa Veneziana sarebbe stata ricostruita con le stesse pietre. I lavori di demolizione dell’isolato iniziarono il primo gennaio 1910. Le maestranze, delle imprese edili D’Aronco e Tonini, cominciarono a smontare la Casa Veneziana, recuperandovi esclusivamente il poggiolo, la trifora e la maggior parte degli altri contorni lapidei. I pezzi raccolti vennero poi numerati e portati sul piazzale Castello in attesa di nuova sistemazione.
A maggio 1915, aprendosi le ostilità contro l’Austria, la città di Udine divenne ben presto succursale del conflitto, facendo dimenticare la questione della Casa Veneziana. Un oblio che tenne banco quasi vent’anni. Fu infatti necessario aspettare il periodo fascista per ricostruire la Casa, in quell’impegno allora avvallato dal podestà Pecile. Il legato Toppo Wassermann, presieduto dall’ingegner Fachini, aveva decretato nel 1927 la ricostruzione della Casa Veneziana, nel pieno fervore della propaganda fascista.
Era stato disposto di provvedere alla ricomposizione della facciata veneziana di via Rialto, attuando sostanziali modifiche all’edificio settecentesco Ciconi Florio, a piazza XX Settembre, alla ex locanda Al Friuli, all’angolo di via dei Teatri (di proprietà dei Legati). La scelta non era stata casuale: la casa Ciconi Florio, dall’arioso stile settecentesco, si trovava in pessime condizioni statiche, tanto che le travature di legno erano lesionate e gli architravi di porte e finestre erano inflessi.
Ma accanto all’opportunità della trasformazione, vi era un obiettivo comune, che pretendeva di rimembrare i fasti della Udine veneziana, a pregiudizio della centralissima piazza XX Settembre, uno spazio pubblico posto fra le piazze San Giacomo, Garibaldi, Duomo e Ospedale Vecchio, considerato il polmone di tutte e cinque.
Il Campo veneziano (antesignano toponimo del nome della piazza) è sempre circondato da bei palazzi, di stile gotico o rinascimentale, quasi sempre “benedetto” dalla presenza di una chiesa e spesso punteggiato da qualche albero Nel centro, il pozzo occupa una posizione privilegiata, non disponendo di alcuna sorgente d’acqua potabile, ed è per questo che i veneziani dovevano ingegnarsi a raccogliere l’acqua piovana, purificarla e immagazzinarla
Piazza XX Settembre, a eccezione del pozzo, godeva di tutti questi benefici. Uno scenario unico che inglobava anche il palazzo Kechler e il nuovo palazzo delle assicurazioni dell’INA. Una centralissima piazza che custodiva la storia cittadina, nell’avvicendamento di uomini, avventure, delitti e pregiudizi.
In questo contesto cruciale per l’identità di Udine, trovò spazio il progetto di trasformazione dell’edificio Ciconi Florio, inserito nella riqualificazione della piazza, uno spaccato urbano che avrebbe legato con l’innesto della Casa Veneziana.
L’attività di riforma venne affidata all’architetto Alberto Riccoboni (1894-1973), nota figura del mondo culturale artistico triestino, Sopraintendente della Regia Soprintendenza alle Antichità e Belle Arti di Trieste, che nello stesso periodo stava realizzando il restauro del Castello di Miramare, destinato all’abitazione del Duca Amedeo Savoia d’Aosta.
Dal capitolato speciale di appalto si evince che la trasformazione riguardava non solo il restyling della facciata, previo l’inserimento delle originali parti lapidee, ma anche l’innalzamento di ben di due metri del piano di copertura, lo spostamento dei solai d’interpiano, la rimozione del vano scala in legno esistente con la collocazione di un nuovo corpo scale e la ridistribuzione degli spazi interni, questi ultimi destinati a botteghe al piano terreno e ad abitazioni civili e uffici ai piani primo, secondo e terzo.
Dalla configurazione proposta si può evincere l’intenzione di mantenere, compatibilmente con l’esistente, i caratteri della Casa Veneziana, anche se i tre affacci non avrebbero mai potuto garantire una fedele riproduzione, poiché la Casa Veneziana di via Rialto aveva un unico affaccio ed era diciassette metri più stretta degli attuali tre affacci. Inoltre, la facciata originale presentava ventuno finestre (una trifora, due bifore, dieci monofore e sette piccole bordi di finestrelle), mentre il nuovo progetto ne contemplava ventisette, dando adito alla necessità di sei nuove finestre da distribuire su un’unica facciata.
Inoltre la Soprintendenza alle opere di Antichità e d’Arte, ribadendo decisioni già citate in precedenza, voleva riqualificare la piazza XX Settembre, attraverso una ricostruzione parziale del “campo veneziano”, dando maggiore visibilità alla Casa Veneziana.
Ciò considerato, nelle opere complementari si proponeva di collocare sul plateatico della piazza, verso l’Albergo Friuli, la vera di pozzo dell’Ospedale Vecchio, poi spostata al Castello: un’autentica opera d’arte, risalente al 1588, con allocato nella parte superiore il monogramma della Confraternita di Santa Maria dei Battuti, che avrebbe senz’altro conferito un indiscusso fascino veneziano.
Il 2 novembre 1929, in una nota indirizzata al Podestà di Udine, il Sopraintendente Forlati scriveva “che i lavori della Casa Veneziana erano ben riusciti, nell’accurata esecuzione architettonica“.
La scala interna, arricchita da decorazioni in ferro battuto dai motivi liberty, divenne un elemento decorativo in grado di riorganizzare l’intera distribuzione degli ambienti in un gioco di simmetria a sé stante. A perenne memoria, sul fronte di via dei Teatri venne affissa una lapide, tutt’oggi esistente con la seguente scritta:
“Questa casa del secolo XV di via Rialto rimossa nel 1910 qui risorse con le ornate sue pietre per Decreto del Podestà a cura dell’azienda dei Legati”.
Oggi il Palazzetto Veneziano di piazza XX Settembre, sede del UPI regionale (Unione Province Italiane), dell’ANCI provinciale (Associazione Nazionale Comuni Italiani), è al centro di un discusso dibattito inerente il suo restauro. Comune e Provincia, proprietarie dell’immobile del Legato Toppo Wassermann, non hanno ancora trovato un’intesa per l’approvazione del progetto preliminare da 3 milioni di euro. Secondo il parere del Servizio Edilizia Privata del Comune di Udine, il Palazzetto Veneziano, essendo vincolato dalle Belle Arti, potrà essere sottoposto esclusivamente al restauro conservativo, mentre non saranno ammissibili altri interventi edilizi, anche se di modesta entità. Con questa interpretazione, gli ampliamenti non potranno essere ammessi e il progettista dovrà necessariamente collocare i vani tecnici al terzo piano, riducendo di fatto la superficie utile, per fare spazio ai locali tecnici indispensabili. L’augurio è che le diverse amministrazioni in causa trovino una soluzione senza dover rivivere l’odissea fin qui raccontata…
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