Gli anni giovanili
Ernest Hemingway nasce il 21 luglio 1899 a Oak Park, nell’Illinois. È un bambino che dimostra subito grande intelligenza e vivacità; ama udire e raccontare storie, cresce in mezzo alla natura e il padre gli trasmette la passione che lo animerà fino alla morte: la caccia. Nel 1916 inizia a tirare di boxe in seguito a una rissa finita male: primi segni di uno spirito inquieto e combattivo che lo porterà all’autodistruzione.
Nel maggio del 1918 parte per l’Europa come volontario sui fronti della Prima Guerra Mondiale. Sbarca a Bordeaux, va a Parigi e da lì prende un treno per Milano, dove giunge in tempo per vedere saltare in aria una fabbrica di munizioni: appena arrivato si trova già a trasportare feriti. A Fossalta di Piave, nella notte dell’8 luglio, viene colpito da un mortaio austriaco: un soldato gli muore accanto, ne carica un altro in spalla, ma di nuovo il Nostro viene colpito alla gamba; prima di svenire, riesce a portare il ferito all’ambulanza. Le cronache locali mitizzano l’impresa e ben presto la notizia arriva in America; tornato a New York all’inizio del 1919, Hemingway viene accolto come un eroe.
Addio alle armi
Seguono anni di bisbocce, dissidi con la famiglia, viaggi ovunque, un matrimonio poco fortunato, soggiorni a Parigi, primi romanzi e conseguenti successi, corrispondenze giornalistiche, incontri e scontri con grandi scrittori, corride in Spagna. Finché, nel 1929, decide di rielaborare i suoi ricordi della guerra in Italia: ne nascerà l’anno successivo Addio alle armi, che mescola finzione narrativa a episodi biografici reali.
Nonostante avesse visto solo di sfuggita il Friuli, Hemingway vi ambienta il suo libro, perché qui si erano svolti gli eventi più drammatici del conflitto: cita Udine, Pordenone, Cormons, Cividale, Latisana, San Vito, e apre il romanzo a Gorizia, dove il protagonista della storia, Frederic Henry, un soldato volontario americano, si ferma per lungo tempo in una casa «che aveva una fontana e molti grandi alberi ombrosi in un giardino cintato e da una parte un pergolato di glicini violacei». Gorizia è descritta come una città «molto carina», con le sue montagne intorno e il colle del castello: un luogo momentaneamente tranquillo mentre tutto intorno si muore. Frederic, alter ego dello scrittore, si sposta in Slovenia, a Plava, per vedere con i suoi occhi la devastazione della guerra; ne esce una descrizione livida e realista: «Tutto era macerie. [...] Scesi lungo la stradicciola verso il fiume, lasciai la macchina al posto di medicazione ai piedi della collina, attraversai il ponte di barche, che era riparato dal fianco della montagna, e andai lungo le trincee del villaggio distrutto e sull’orlo del pendio. Erano tutti nei ricoveri. C’erano le rastrelliere dei razzi pronti a essere tirati per chiedere l’aiuto dell’artiglieria o per fare segnalazioni nel caso le linee venissero tagliate. C’era silenzio, calore e sporcizia». Nel frattempo sboccia l’amore fra il protagonista e la giovane infermiera inglese Catherine.
La Slovenia, in Addio alle armi, è teatro di scontri sanguinosi: andando nei luoghi citati dal romanzo, si possono osservare i monumenti che ricordano le battaglie fra esercito italiano e austriaco, a riprova del fatto che la trama è inventata, ma gli eventi sullo sfondo sono veri. Così, sul monte San Gabriele, troviamo un cippo con una bomba italiana accanto; sulla strada che da Grgar porta al magnifico altopiano della Bainsizza, una stele con un bassorilievo ricorda la lunga battaglia dell’Isonzo; nella selva di Trnovo, invece, la memoria del ‘45 ha finito per prevalere su quella della Prima Guerra Mondiale, come dimostra il monumento all’ingresso del paese con tanto di falce e martello.
Il 24 ottobre del 1917 il fronte italiano crolla a Caporetto: il romanzo entra dunque nel vivo, raccontando la drammatica ritirata dell’esercito alleato. Frederic arriva al Ponte della Delizia sul Tagliamento, dove viene fermato dalla polizia militare per essersi dato alla fuga dopo la disfatta; riesce però a scampare alla fucilazione tuffandosi nel fiume e raggiungendo la sponda veneta. Da lì, altre fughe fino in Svizzera. Poi, il triste epilogo, con la morte per parto dell’amata Catherine.
Il ritorno in Friuli: Di là dal fiume e tra gli alberi
Il Friuli ritorna nella vita di Hemingway a partire dal 1948, quando la sua fama è già planetaria. A settembre arriva in Italia e va a Cortina d’Ampezzo, dove stringe amicizia con il conte Federico Kechler. Lo scrittore viene accompagnato sul Collio a degustare vini superbi: si narra che disse «quanto è piccolo questo Picolit» dinanzi a un meno pregiato Verduzzo, servito da una cameriera che pensava di fare la furba. Un giorno va a caccia partendo dal lago di Cornino: prosegue sul fiume Ledra, arriva nella riserva Annia-Malisana e termina il suo viaggio a Marano.
Viene ospitato più volte dai Kechler nelle loro residenze: a Percoto, nella villa del XVII sec. che conserva ancora il pozzo settecentesco nel cortile, a Fraforeano, con lo splendido parco popolato da faggi, magnolie, cedri del Libano, querce, tassi, sequoie, ginkgo biloba, aceri giapponesi, thuie, tigli e aceri palmati, nonché a San Martino di Codroipo, nella dimora nobiliare di fine Cinquecento dal fascino decadente. È a questo luogo che Hemingway allude nel romanzo Di là dal fiume e tra gli alberi (1950), quando scrive: «Mi piacerebbe essere sepolto lontano sui bordi della tenuta, ma in vista della vecchia casa elegante e dei grandi alberi alti. Non credo che sarei molto d’impaccio per loro. Sarei una parte del suolo dove i bambini giocano la sera e la mattina forse continuerebbero ad allenare i cavalli a saltare e gli zoccoli calpesterebbero l’erba e le trote affiorerebbero nello stagno quando ci fosse uno sciame di moscerini».
A parlare, ancora una volta alter ego di Ernest, è il colonnello americano Richard Cantwell, reduce della Prima e della Seconda Guerra Mondiale, di stanza al circolo ufficiali di Trieste; nel viaggio in auto dal capoluogo giuliano a Venezia, il protagonista passa «per la vecchia strada che univa Monfalcone a Latisana lungo la pianura» (l’odierna statale 14) e attraversa il Tagliamento: «Era verde lungo le rive e qualcuno pescava sulla sponda lontana che precipitava ripida nell’acqua. Il ponte saltato in aria era in riparazione tra un frastuono di martelli, e a ottocento metri di distanza i resti degli edifici e annessi di ciò che ormai erano le macerie di una villa costruita in passato da Longhena mostravano il punto nel quale i bombardieri leggeri avevano sganciato il loro carico».
Racconto immaginario, ma riferimenti reali: ecco, dunque, a San Michele al Tagliamento, villa Ivancich, di cui il tempo ha risparmiato solo le due barchesse del grande architetto seicentesco Baldassarre Longhena, immerse nel verde. Alla famiglia Ivancich appartiene Adriana, bellissima diciannovenne che strega Hemingway (nel frattempo risposatosi con Mary Welsh) fin dal primo incontro a Latisana, nel dicembre del ‘49, in occasione di una battuta di caccia organizzata dai Kechler: fra i due è subito amore. In Di là dal fiume e tra gli alberi, Adriana viene trasfigurata nel personaggio di Renata, giovane fanciulla veneziana simbolo di un amore impossibile: nonostante il sentimento e l’eros siano intensi, il colonnello sa che i suoi problemi cardiaci gli lasciano poco da vivere. Decide quindi di farsi accompagnare nel luogo in cui è stato ferito molti anni prima per attendere lì la morte.
Ultimo viaggio in Friuli: 1954
Nel gennaio del ‘54 Hemingway è in Kenya per un safari. Sta per alzarsi in volo, quando il suo aereo prende fuoco: Ernest riesce a uscirne per miracolo, ma è in pericolo di vita. Costretto a ripartire da Mombasa, sbarca a Venezia dimagrito di dieci chili, distrutto dalle emorragie interne, con fegato, reni e intestino feriti e tante ossa rotte. I Kechler vanno subito a trovarlo e per farlo riposare lo portano nella loro villa di Percoto, il 9 aprile. Nel tragitto, però, si viene a sapere che a Udine il giornalista del Gazzettino Carlo Scarsini ha organizzato una bicchierata in onore di Hemingway: non si può non deviare. Al ristorante Friuli (oggi rimane solo l’edificio, in piazza XX settembre), il romanziere si ferma per oltre un’ora con i ragazzi accorsi a conoscerlo, regalando loro un incontro storico e un segno di gratitudine: «Mi trovo bene qui da voi».
Il 15 aprile, Ernest arriva per la colazione all’amato ristorante Bella Venezia di Latisana: è il suo ultimo giorno in Friuli. C’è tempo per una visita al cantiere di Lignano Sabbiadoro, dove ancora non c’è nulla; presso la Pineta, l’architetto Marcello D’Olivo spiega il progetto allo scrittore, che replica entusiasta: «Ma questa è la Florida d’Italia». È la frase che segna la fortuna di Lignano: di lì a poco prendono forma i viali alberati, gli alberghi e gli stabilimenti balneari; oggi, la città ricorda Hemingway con l’omonimo parco e un celebre premio letterario a lui intitolato.
Ernest abbandona il Friuli con dolore: dopo altri viaggi, lascia per sempre l’Italia nel maggio del 1954. Il 28 ottobre una telefonata gli dà il grande annuncio: ha vinto il premio Nobel. Ma nemmeno questo basta per raddrizzare una vita ormai distrutta dall’alcol e dalla depressione: all’alba del 2 luglio 1961, a Ketchum (Ohio), Hemingway si suicida con una fucilata. Poche ore prima ha cantato con la moglie Mary La mula de Parenzo: quasi un testamento, un saluto finale rivolto al suo amato Friuli. Una terra che non può dimenticarlo.
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