Roma, 1 ottobre 1978. La nazionale italiana di pallavolo viene sconfitta 3-0 nella finale mondiale dall’allora Unione Sovietica che infrange il sogno azzurro di conquistare il titolo davanti ai propri tifosi. Solo 17 giorni prima, a Gorizia era nato un bambino di nome Matej Cernic. Trentadue anni dopo quella coincidenza si ripropone con nuove sfumature. Il prossimo 10 ottobre Roma tornerà ad ospitare la finalissima dei Campionati del Mondo di pallavolo. E i tifosi italiani confidano di realizzare quel sogno infranto: vincere il Mondiale in casa. Affidandosi alle schiacciate di Matej Cernic. Alla vigilia di un appuntamento che vale una carriera, Matej ha confidato ad iMagazine le proprie sensazioni e speranze. Con la serenità che lo contraddistingue da sempre. Merito anche – assicura lui – del fatto di aver vissuto a Gorizia fino a 18 anni.
Da allora è passato un po’ di tempo… Oggi, a quasi trentadue anni, cosa rappresenta la pallavolo per te?
«La mia vita. Ho raggiunto traguardi importanti ed invidiabili grazie alla pallavolo. Con questo sport sono cresciuto non solo atleticamente, ma anche come persona: mi ha maturato ed in qualche modo plasmato».
Quando hai deciso che saresti diventato un giocatore di volley?
«A dieci anni ho iniziato a dedicarmi alla pallavolo con maggiore convinzione. Prima mi dividevo tra questo sport ed il calcio».
Tra i due sport in Italia molti ragazzi al posto tuo avrebbero scelto il calcio…
«Anche i miei cugini giocavano a calcio. Ogni fine settimana erano sempre acciaccati: mia mamma, essendo io all’epoca piuttosto magrolino, per paura che mi facessi male mi esortò a scegliere la pallavolo…».
Per fortuna hai accontentato la mamma. Nel frattempo il ragazzo gracilino lascia il posto ad un possente schiacciatore/ricevitore: quali sono le caratteristiche del tuo ruolo?
«È il ruolo più difficile, perché non solo si deve saper attaccare, ma soprattutto si deve saper ricevere; imparare ad entrare in questo ruolo richiede allenamento, pazienza, concentrazione ad altissimo livello».
A vent’anni già in Nazionale: cosa ricordi di quell’esordio?
«Dell’esordio in Nazionale non ho un ricordo intenso particolare; rammento con emozione la prima convocazione, sebbene sia durata solo una settimana e ricordo quanto sia stata grande per me la gioia di poter finalmente calcare il palcoscenico della A1: fin da quando avevo quattordici anni mi ripetevo che un giorno sarei arrivato a quel traguardo».
Hai giocato anche in Grecia e in Russia. Quali sono le principali differenze rispetto all’Italia?
«Vivere e giocare all’estero è un’esperienza di vita oltre che una prova per il giovane atleta. A Salonicco ho giocato con una squadra con cui ho vinto la Supercoppa greca, perché il team era di vertice. In Russia ho compreso la differenza tra il loro torneo ed il nostro. Il campionato italiano è davvero il migliore in assoluto, perché non si basa solo sulla forza fisica, ma è anche tattica, intelligenza, vera preparazione atletica».
Settembre 2010, l’appuntamento tanto atteso: i Mondiali in Italia. Un pronostico?
«Le squadre più ostiche da battere sono sicuramente Russia e Brasile. Mi auguro di giocare la finale: ormai non ho ancora molti anni da giocatore per sognare una vittoria mondiale… Ma non vorrei questo risultato solo per me stesso».
Anche per chi?
«Un successo darebbe slancio e visibilità a questo sport, che in Italia è in secondo piano: sembra che lo sport si personifichi nel calcio giocato, parlato, urlato, osannato, deprecato, infangato, sospettato…».
Giochiamo solo per un attimo: Matej Cernic Ministro dello Sport. Cosa faresti per rilanciare la pallavolo?
«Credo si dovrebbe incrementare la pubblicità per la pallavolo, uno sport che richiede marketing costante prima di raggiungere un risultato, ma uno sport anche capace di far “crescere” davvero un ragazzo, accompagnandolo nel suo divenire persona».
Dal ministero al parquet: se fossi l’allenatore di una squadra giovanile cosa chiederesti ai tuoi ragazzi?
«Sacrificio, pazienza e volontà. La pallavolo è uno sport difficile, ma capace di esaltare attori e spettatori. È l’unico sport in cui la palla non deve mai toccare terra, quindi l’impresa è ardua…».
Ad un certo punto della tua carriera sei stato costretto ad uno stop prolungato per un intervento al ginocchio. Quel periodo di inattività sportiva cosa ti ha insegnato?
«Mi ha fatto tornare la voglia di giocare davvero. Dopo dieci anni di incessante attività, tra club e nazionale, era ormai difficile mentalmente continuare ad alto livello. Così la pausa mi ha giovato fisicamente e psicologicamente. Il riposo è importante per la gestione del corpo di un atleta».
A proposito di riposo, come trascorri il tempo libero?
«Con la mia ragazza, che vive a Francavilla Fontana vicino a Brindisi. Io vado in aereo da lei il fine settimana o viceversa; spesso torniamo insieme a Gorizia dove frequento quegli amici veri che son cresciuti con me da quando ero un ragazzino fino a quando ho lasciato la città per giocare nei diversi club. Questa per me è stata un’altra fortuna, perché ho potuto crescere in famiglia fino a 18 anni, pur giocando sempre a pallavolo».
Sei un atleta invidiato per le tue qualità e per il tuo successo: cosa vorresti ancora dalla vita?
«Sono stato molto fortunato, ho avuto tutto quello che potevo desiderare: dalla famiglia agli amici, dallo sport agli onori. Ora vorrei un figlio ed una famiglia tutta mia».
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