Due mondi paralleli

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redazione

11 Gennaio 2016
Reading Time: 6 minutes

Il futuro del credito

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Sembra che il nostro sistema bancario sia stato colpito da uno tsunami, un’alluvione da dissesto idrogeologico o qualcosa di simile. Si parla infatti di interventi umanitari per alleviare le perdite subite dai risparmiatori che hanno sottoscritto emissioni obbligazionarie subordinate delle quattro banche da tempo commissariate e ora sostanzialmente fallite.

Un vero pasticcio cui hanno contribuito fattivamente tutti gli attori coinvolti:

1. chi progetta e costruisce gli argini per far fronte alle esondazioni (Enti regolatori e normative europee e nazionali);

2. chi è preposto al monitoraggio, controllo e manutenzione degli argini stessi (varie authority di vigilanza);

3. chi ha responsabilità di protezione civile (Governo e Commissione Europea, normativa sugli aiuti di Stato);

4. chi costituisce il sistema di distribuzione e filtraggio dei bacini idrici (Banche, Istituzioni finanziarie);

5. chi costruisce o va ad abitare in prossimità degli argini e delle golene (risparmiatori e investitori).

Il tutto condito dai postumi della grande crisi finanziaria e della conseguente crisi economica. Altri sottoscrittori di obbligazioni bancarie subordinate iniziano a preoccuparsi alimentando una nuova ondata di sfiducia nel sistema bancario, in primis quelli delle altre 12 banche commissariate, di cui poco si conosce e che dal 2016 sono soggette alla nuova e più penalizzante normativa europea sui salvataggi bancari (il cosiddetto bail in).

Alcuni Governatori regionali ora invocano interventi sistemici per evitare che ulteriori famiglie che hanno investito in azioni e obbligazioni non liquidabili e a valori di mercato anche prossimi allo zero cadano sotto i colpi della crisi di altre banche locali.

Si tratta di un concorso di colpa, meglio di colpe, derivante da autoreferenzialità burocratico-amministrative, frammentazione istituzionale, insipienza della politica e ignavia delle classi dirigenti coinvolte. Approfondire le problematiche connesse ai punti da 1. A 3. richiederebbe spazi molto più ampi di quelli appropriati per questa rubrica. Mi limiterò ad alcune considerazioni sugli ultimi due punti.

La prima considerazione concerne i sistemi di governance delle banche coinvolte. Gran parte di esse sono, ma ormai si può dire che erano, controllate da Fondazioni, una tipologia di azionista che per missione e statuto ha a cuore lo sviluppo socio-culturale ed economico dei territori di riferimento. Data la loro origine e natura di Fondazioni Bancarie, la tutela e la promozione del risparmio e della cultura finanziaria delle famiglie dovrebbero rientrare nei principi guida e ispiratori delle politiche delle loro banche, in misura ancora più pregnante rispetto a banche con compagini sociali di natura diversa. Forse il cosiddetto radicamento e legame con il territorio ha distorto e allontanato i consigli di amministrazione e gli amministratori dai principi di sana e prudente gestione? Che il cosiddetto rapporto di Agenzia, ovvero una relazione in base alla quale una parte (principale) obbliga un’altra (agente) a ricoprire per suo conto una data funzione, delegando sfere del proprio potere all’agente, sia incorso in tutti i rischi teoricamente imputabili al comportamento opportunistico delle parti, sia in termini di selezione avversa (crediti “cattivi”, in sofferenza) che di azzardo morale (interessi particolari)?

Nei rapporti con gli stakeholders (portatori di interessi) quali “utilità” aziendali e sociali sono state perseguite? Queste problematiche non sembrano emergere dal dibattito in corso, ma il tema della governance dovrebbe essere uno dei temi se non il tema da affrontare nell’immediato per evitare l’insorgere di rischi sistemici.

La seconda problematica riguarda un aspetto risaputo quanto negato: è il problema dell’educazione finanziaria. Risparmiatori ignari o improvvidi, si dice a proposito dei sottoscrittori di obbligazioni subordinate, uno strumento finanziario che, a fronte di rendimenti più elevati, presenta maggiori rischi rispetto ai conti di deposito o alle obbligazioni ordinarie, in quanto in caso di insolvenza dell’emittente viene rimborsato solo dopo che sono stati soddisfatti tutti gli altri creditori.

D’altro lato vien da chiedersi se le quattro banche nel collocare questi strumenti abbiano informato esaustivamente la clientela, adempiendo alla normativa di protezione del risparmiatore (Mifid) che richiede di verificare il profilo di rischio del cliente rispetto alla adeguatezza della gamma di strumenti offerti, quindi anche con riferimento alla possibilità di investire in bond subordinati.

Negli ultimi anni il mondo dei servizi finanziari destinati alle persone, alle famiglie e anche alle imprese è cambiato profondamente: l’offerta è sempre più articolata, complessa e specializzata. Il tema della cultura finanziaria assume, quindi, un’importanza centrale come primo baluardo per la tutela del risparmio, per la creazione di capacità di effettuare scelte finanziarie consapevoli da parte di cittadini e famiglie. È indispensabile che questi temi diventino un elemento centrale nell’educazione di base a partire dall’istruzione scolastica. In questo contesto il social lending, o prestito diretto tra privati, si sta diffondendo anche in Italia. Il social lending è l’ennesimo prodotto sfornato da quel cantiere di idee e progetti che è la sharing economy applicata ai servizi finanziari.

Una soluzione creditizia alternativa in grado di fare a meno dell’intermediazione bancaria, sostituita da comunità di prestatori e di richiedenti credito che interagiscono attraverso una piattaforma web. La piattaforma accoglie, da una parte, chi ha intenzione di richiedere un finanziamento e, dall’altra, privati cittadini che scelgono di mettere a disposizione il proprio capitale. Chi avanza richiesta di prestito presenta il proprio fabbisogno, ne descrive la natura e indica la cifra di cui necessita.

Chi mette a disposizione il proprio capitale, può sia scegliere personalmente il progetto su cui investire sia lasciare che la piattaforma decida per lui in modo automatizzato secondo il profilo di rischio personalizzato e precedentemente formalizzato.

L’elemento di base che assicura l’affidabilità del meccanismo sta nel fatto che non vi è un rapporto univoco fra un richiedente e un investitore. I finanziamenti, infatti, sono scorporati in piccole quote (nell’ordine dei 50 euro) affinché diversi prestatori elargiscano una parte del proprio denaro a diversi richiedenti (nell’ordine delle decine, anche centinaia). In tal modo il rischio di insolvenza viene ridotto al minimo e le eventuali perdite limitate.

Negli ultimi 3-4 anni il tasso di sofferenza registrato dalle piattaforme italiane è inferiore (pari a circa un terzo) a quello registrato in media dalle banche. I tempi di erogazione sono ridotti rispetto a quelli previsti dai tradizionali istituti di credito. Per chi avanza la richiesta di prestito, l’ulteriore vantaggio è dato dall’ottenimento di finanziamenti a tassi mediamente più bassi di quelli erogati dalle banche. Chi sceglie di investire nel social lending, invece, ha la possibilità di far fruttare somme di denaro che, altrimenti, dovrebbero essere depositate con rendimenti risibili, affrontando inevitabili costi di deposito.

Ciò è possibile in quanto queste piattaforme, in Italia per ora ce ne sono tre, risultano più efficienti rispetto agli operatori tradizionali e maggiormente efficaci nel contenere i costi di gestione. Significativo è anche il clima di fiducia registrato tra i prestatori, che apprezzano che le piattaforme di People-to-People Lending siano dotate di un fondo di salvaguardia o protezione. Il social lending sta crescendo molto rapidamente in tutto il mondo, a ritmi sostenuti (+48% nell’ultimo anno).

In Europa il leader assoluto in questo settore è la Gran Bretagna, dove non si tratta più di un fenomeno innovativo ma di una realtà che vale 1,75 mld di euro. In Italia 25 miliardi di euro sono erogati in prestiti personali, di questi 1,3 miliardi attraverso il web. Un dato quest’ultimo che sembra destinato a crescere fi no a raddoppiare nel prossimo biennio grazie a un sempre maggiore utilizzo della rete da parte degli italiani e all’aumento del ricorso al prestito diretto, come già avviene in paesi che, per popolazione, sono simili a noi, primi tra tutti Francia e Germania.

Pur essendo ancora agli albori, per il People to People Lending in Italia ci potrebbe essere una grande opportunità lasciata libera dal mondo bancario sia nel credito al consumo che nei prestiti alle Piccole e medie imprese. Il social lending crea anche un mercato addizionale sui bisogni emergenti delle persone piuttosto che rimpiazzare semplicemente il credito bancario, grazie anche all’uso a tutto tondo della tecnologia.

Due mondi, quello bancario e quello del social lending, che però potranno anche collaborare in un contesto win-win. In altri paesi le banche locali medio-piccole hanno fatto accordi con le piattaforme di social lending e sono riuscite così a offrire più servizi ai clienti e a fruire della velocità di istruttoria e di erogazione delle piattaforme digitali, non impiegando proprio capitale.

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