Stefano Caso e la scrittura: quando è scoccata la passione?
«Grazie a un mio insegnante di lettere delle scuole medie, che ci spiegava il perché di ogni virgola dei grandi classici. Ma soprattutto attraverso i libri di un autore che adoro fin da ragazzino, Stefano Benni. Grazie a lui ho cominciato ad amare la lettura e poi la scrittura».
Quando ha deciso di scrivere il suo primo libro?
«Nel 2003 un mio caro amico di Cremona, che faceva il traduttore dal tedesco all’italiano per le più grandi case editrici, mi propose di scrivere un giallo con lui. All’inizio mi misi a ridere, poi invece lo scrivemmo realmente».
Fu un successo?
«Non lo abbiamo ancora pubblicato e, forse, non lo pubblicheremo mai: lo riteniamo una sorta di esperimento letterario».
Un esperimento comunque utile…
«Quell’esperienza mi è servita per iniziare a scrivere seriamente: tra il 2006 e il 2007 pubblicai tre saggi divulgativi per la Hobby&Work. Uno di questi, Le 100 grandi congiure, è anche uscito in allegato a Focus Storia».
Il primo passo verso la narrativa.
«Col tempo ho iniziato a dedicarmi al genere giallo e, proprio in queste settimane, è uscito sia il mio primo romanzo D’amore non si muore sia un mio racconto all’interno dell’antologia Nessuna più, a sostegno di Telefono Rosa».
Chi è stata la prima persona a leggere il suo romanzo?
«Mia moglie Manuela. Le è piaciuto subito, anche se continua a ripetermi: “Ci sono troppe scene e parole volgari. Chissà cosa penseranno le maestre di nostra figlia quando leggeranno il libro?”. D’altra parte scrivere un noir come se fosse un romanzo rosa non renderebbe molto. Allo stesso tempo, non sopporto la scrittura da ‘macellaio’, che fa leva su sangue a catinelle, arti mozzati e frattaglie umane varie. Preferisco la scrittura raffinata e non scontata».
Cosa significa per lei la scrittura?
«Significa intingere la penna nelle mie parti più ‘folli’, risollevarla e riscrivere la vita e l’essere umano per quelli che davvero sono».
Lei è addetto stampa in un ente pubblico: si sente più giornalista o scrittore?
«Mi sento più scrittore, anche quando preparo un comunicato stampa. Il giornalismo è una professione di grande responsabilità e importanza, che andrebbe praticata come una missione a favore della gente. Non a caso Betty Cabrini, la protagonista del mio romanzo, è una giornalista che, attraverso le indagini su un omicidio, ritrova, o forse trova per la prima volta, il bisogno di ricercare la verità. Il giornalismo dovrebbe sempre essere ricerca della verità. Come addetto stampa, invece, svolgo un giornalismo, mi si passi il termine, ‘blando’».
Come giudica il panorama degli scrittori nel nostro Paese?
«Credo che in Italia ci siano parecchi autori di qualità. Ma anche tanti, troppi scrittori ‘pretenziosi’. Ci sono anche dei talenti sconosciuti che però non riescono a farsi leggere dagli editori, a loro volta sommersi dalle centinaia di manoscritti che ricevono ogni giorno».
Per Stefano Caso è più importante l’opera o il lettore?
«L’opera. Non sopporterei di scrivere un romanzo ‘non mio’ pur di accontentare i gusti che in un determinato periodo vanno per la maggiore tra i lettori».
A proposito di lettori, qual è il più bel libro che ha letto?
«Achille pie’ veloce».
Ovviamente di Stefano Benni…
«L’ho riletto non so quante volte, trovando sempre nuove genialità stilistiche, ridendo, commuovendomi, arrabbiandomi e invidiando l’autore...».
Restiamo in tema di bravura degli autori: qual è il modo più efficace per scrivere l’inizio di un libro?
«L’inizio di un libro è fondamentale per conquistare non soltanto il lettore, ma anche l’editore. Ogni autore ha un proprio metodo e c’è anche chi lo scrive dopo aver concluso la stesura dell’opera. Non è il mio caso. Io parto lasciandomi prendere per mano dai miei personaggi e facendomi guidare da loro. In genere ho in mente come iniziare un racconto e come concluderlo, il resto lo fanno loro, i miei personaggi. Io sono soltanto il loro manovale...».
Restiamo al suo romanzo: se potesse farlo leggere a un personaggio famoso, quale sceglierebbe?
«Più che a un personaggio famoso, lo farei leggere a mia figlia Margherita, che fa la prima elementare e sta iniziando da poco a muoversi tra le parole scritte. Mi interesserebbe molto un suo parere».
Quali sono le altre passioni nella vita di Stefano Caso?
«A parte la famiglia, ascolto tanta musica e, quando posso, mi piace suonare la batteria, una mia passione adolescenziale che ho ripreso da un paio d’anni. La musica mi accompagna anche quando scrivo. Non sopporto di scrivere nel più assoluto silenzio: mi mette tristezza e non mi fa trovare la giusta ispirazione. Quindi scelgo di volta in volta la musica più adeguata per la scena che sto descrivendo, alzo il volume e parto tamburellando sulla tastiera del tablet come se fosse una mini batteria».
Il prossimo libro che vorrebbe scrivere?
In realtà ho già pronti altri due romanzi: un noir e una sorta di sequel di D’amore non si muore. In futuro mi piacerebbe scrivere un romanzo che dia forza e speranza a tutti gli ‘ultimi’ che arrancano ogni giorno nel mondo. E che magari strappi loro anche un sorriso».
Il suo sogno nel cassetto?
«Vivere di sola scrittura di libri».
Cremonese di nascita ma friulano di adozione, Stefano Caso (48 anni) è anche giornalista e capo ufficio stampa della Provincia di Gorizia. È stato docente a contratto di “Comunicazione e produzione testuale” al corso di laurea in Relazioni pubbliche dell’Università di Udine. Vive a Cervignano del Friuli. È rappresentato dall’agenzia letteraria di Milano Thesis Contents. Negli anni scorsi ha pubblicato per Hobby&Work: Le cento grandi congiure (uscito anche in allegato al mensile Focus Storia e nella collana Focus Storia Collection), I cento grandi Santi e Le cento grandi divinità.
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