L’immagine tra antico e moderno

imagazine margherita reguitti

Margherita Reguitti

1 Aprile 2016
Reading Time: 4 minutes

Roberto Kusterle

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Prima il corpo umano, con i suoi misteri, le sue potenzialità multiformi, il suo fascino. Poi la relazione, la metamorfosi, la contaminazione fra umano, animale e vegetale, in uno scambio di forme antiche e contemporanee. Senza possibilità di confusioni è la fotografia di Roberto Kusterle, seppur meticcia nei linguaggi.

Il suo è un viaggio iniziato da lontano e proseguito con coerenza fortemente riconoscibile di metodo e forma. I gelsi, le more, il corpo umano e infine il bozzolo e la mutazione del baco in farfalla, sono i soggetti del nuovo lavoro del fotografo goriziano dal titolo “Morus nigra”, sviluppato in un volume e una serie di fotografi e di grande formato, esposte in anteprima a Bologna lo scorso febbraio durante la Fiera internazionale di arte contemporanea.

Scultura, pittura e fotografia si fondono nell’opera di Kusterle, in una frantumazione dei confini fra le arti. La fotografia è dunque solo la sintesi di un atto creativo complesso che, attraverso gli strumenti offerti dalla tecnologia digitale, gli permette di esprimersi con canoni classici di forme e contenuti contemporanei. Questo ciclo della sua produzione segna anche un ritorno al colore, dopo un lungo periodo nel quale ha prediletto il bianco e nero e le infinite gamme di grigi.

«Quando inizio un lavoro – spiega Kusterle – non so mai dove mi porterà. In questo caso ho iniziato a fotografare dei fi lari di gelsi in inverno. Un albero che da sempre mi interessa: forte, nodoso, affascinante, solitario. Se ne vedono lungo la strada fra Udine e Buttrio. Dentro alle cavità dei tronchi contorti, dalla corteccia gibbosa, ho immaginato e realizzato delle colate incandescenti e luminose che raffreddandosi diventano lava».

Attorno a questa materia naturale, calda e brillante, sorgente di potenza atavica, appaiono forme di animali fantastici, sopravvissuti ed emergenti da un’ipotetica preistoria. «Lascio che la mia fantasia – precisa – plasmi liberamente componendo pietre, radici e legni raccolti lungo l’Isonzo, dai quali nascono occhi, zampe, corpi di animali che si aggrappano al tronco del gelso. In altri casi, dalla composizione al computer di immagini diverse, emergono, dalle irregolarità della corteccia, parti organiche di corpi, vene e arterie». Una commistione fra vegetale e animale e umano che crea altro.

La trasformazione della natura nelle opere di Kusterle non si allontana dalla natura stessa, sorprendente e diversa a seconda del punto di vista di chi guarda, in un personale esercizio di immaginazione.

«Individuare, leggere e ricomporre tante forme di una bellezza non consueta – aggiunge Kusterle – sono i processi del mio lavoro. Lo scatto è solo il gesto finale».

La parte centrale del progetto “Morus nigra” è dedicata al corpo umano femminile, morbido, plastico, pittorico, sbiancato dal colorito rosa della pelle, sostenuto o avvolto da panneggi, sul quale cola il rosso delle more. Sul candore marmoreo dei corpi perfetti, percorso dall’azzurro delle vene, viene spremuto il rosso del frutto, in un’apoteosi di piacere e desiderio. Non c’è ricerca di bellezza fisica fine a se stessa, ma di morbidezza dei corpi e di dettagli, che emergono dagli sfondi scuri, accentuando il senso di sospensione e leggerezza. Sculture vive di carne, colorate di succhi e umori fissate nella fotografi a. Uno scatto che, prima di essere stampato su carta e quindi incollato su supporti di materiali leggeri plastici in grandi formati, sarà ulteriormente lavorato al computer.

«La tecnologia – confida – mi ha permesso una libertà che prima non era possibile, quando costruivo nei minimi dettagli il soggetto della fotografia analogica, imponendomi limiti al pensiero e alla creatività. Oggi con programmi come Photoshop posso costruire e dipingere. Non serve più un bozzetto su carta, disegno con arnesi digitali, disponendo di una varietà di possibilità e forme che rappresentano una sollecitazione straordinaria per raggiungere ciò che cerco. Spesso io stesso sono sorpreso dal risultato finale che contiene tanto di tutto».

Prima della stampa un ultimo passaggio al computer; quasi la nota di colore sull’incisione che rende l’opera seriale unica. Nella terza e ultima parte del raffinato volume, che contiene i testi critici di Sabrina Zannier e Gian Paolo Gri e apparati di Stefano Chiarandini, sui corpi umani maschili e femminili si adagiano le foglie dei gelsi, trasparenze intersecate con vene e capillari, il baco e la farfalla. È la chiusura del percorso: dall’albero al frutto, dall’essere umano al mondo vegetale e animale.

«Tutto ciò che è natura – conclude Kusterle – è materia creativa. Io mi sento scelto dalla natura che rispetto. Lei mi dà le forme e i colori, affinché la possa ricostruire interpretandola. Ho fatto lavori con bacche, pietre, crete, conchiglie. Nel mio essere istintivo prendo materia grezza e la manipolo, trasformo, ricompongo e poi scatto. Cercando trovo la bellezza delle cose ignote che mi permettono di percorrere vie nuove, in piena libertà, trovando soluzioni diverse di temi e linguaggi».

Nei progetti a breve di Kusterle un’antologia alla Fondazione 107 di Torino e un intervento ideato per il Caffè Florian di Venezia. Nello storico luogo d’incontro, in piazza San Marco, una sala sarà riservata ai sui lavori inediti dedicati al mare.

 

 

Roberto Kusterle (1948), fotografo goriziano, inizia la sua attività espositiva alla fine degli anni ’80. La fotografia è una meta raggiunta e scelta dopo aver praticato la pittura e le arti visive. Le sue opere sono fisiche e concettuali, studia, elabora e trasforma il corpo umano, quello vegetale e minerale. Le sue fotografie, spesso in bianco e nero, sono sculture, a volte complesse ed enigmatiche, a volte semplici e dirette; passi consequenziali di un viaggio personale e artistico.

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