Come funziona la proteina prionica (quando è buona)

imagazine_icona

redazione

18 Ottobre 2016
Reading Time: 3 minutes

Due studi coordinati dalla SISSA

Condividi

È una proteina con due facce diametralmente opposte: tristemente nota nella sua forma “degenerata”, il prione che provoca malattie neurodegenerative gravi e incurabili come la “mucca pazza” nei bovini e la sindrome di Creutzfeldt-Jakob negli esseri umani, nella sua forma fisiologica la proteina prionica (PrPC) svolge invece una funzione vitale per il cervello. La sua azione positiva però fino a oggi non era mai stata definita con chiarezza. Due nuovi studi, entrambi coordinati da Giuseppe Legname, professore della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste, offrono una descrizione dettagliata dei meccanismi biochimici con cui questa proteina stimola e guida la crescita dei neuriti, le proiezioni (assoni e dendriti) della membrana del neuroni così importanti per la trasmissione del segnale nervoso.

Il primo studio – spiega Legname – è stato appena pubblicato sul Journal of Cell Science. “In questo lavoro, che abbiamo svolto in collaborazione con l’Optical Manipulation Lab (CNR- IOM, Trieste), abbiamo usato una tecnica innovativa che ci ha permesso di osservare da vicino l’interazione fra PrPC e i neuriti in fase di crescita”.  La metodologia, sviluppata da Dan Cojoc, ricercatore SISSA/CNR-IOM,  prevedeva l’inserzione delle proteine PrP all’interno di micro vescicole che venivano poi poste con precisione, con delle pinzette ottiche, in vicinanza dei coni di crescita di neuroni ippocampali. I coni di crescita sono porzioni “attive” della membrana del neurone dove si svolge la crescita del neurite. Una volta posizionate, le vescicole venivano “aperte” mediate brevi lampi di luce UV, così che la proteina venisse rilasciata in prossimità del cono di crescita.

“Con questa tecnica di precisione abbiamo potuto osservare la reazione del cono di crescita a basse concentrazioni di proteina prionica. Negli esperimenti la presenza di PrPC provocava il rapido accrescimento dei neuriti e il posizionamento del cono di crescita in direzione della massima concentrazione di proteina prionica,” spiega Legname. “In fasi successive dello stesso lavoro abbiamo inoltre osservato che PrPC, quando anziché essere libera e disciolta nel mezzo extracellulare è ancorata alla membrana cellulare, funziona come un recettore che si lega ad altre proteine prioniche libere, che possono partecipare a processi biochimici diversi”.  
Quando una molecola interagisce selettivamente con molecole a lei identiche, come in questo caso, si parla di interazione “omofilica”. “In questo studio abbiamo osservato anche che sono proprio queste interazioni omofiliche a guidare il processo di crescita dei neuriti, attraverso l’intervento di particolari molecole, chiamate molecole di adesione delle cellule neurali (NCAM)” continua Legname.

Ed è proprio il secondo studio, pubblicato sul Journal of Biological Chemistry, a gettare luce su quest’ultimo passaggio del processo, aggiudicandosi per il suo valore anche la copertina dell’edizione corrente. “Insieme al gruppo di Janez Plavec del Centro Risonanza Nucleare Magnetica di Lubiana abbiamo condotto un’analisi strutturale dell’interazione fra PrPC e NCAM”, spiega Legname.

“Abbiamo visto che NCAM si lega in maniera molto stretta con il terminale N della proteina prionica”, spiega Gabriele Giachin, ex studente e ricercatore SISSA, attualmente in forza al European Synchrotron Radiation Facility di Grenoble in Francia, che insieme a Giulia Salzano, dottoranda della SISSA, ha contribuito allo studio. PrPC è infatti costituita da due domini: una parte strettamente impacchettata che per sua natura non interagisce con altre molecole, e una parte non strutturata, libera, il terminale N, che è invece la zona attiva della molecola. “La nostra osservazione mostra che NCAM promuove la crescita del neurite attraverso il suo legame con PrPC, proprio legandosi alla sua parte non strutturata”, continua Giachin.

I due studi si completano, offrendo il primo una visione d’insieme dell’intero processo e il secondo un focus su uno stadio importante, formando insieme un quadro coerente. “Siamo molto soddisfatti di questo grande lavoro che ha unito competenze e visioni molto diverse, oltre a gruppi di paesi diversi”, conclude Legname che spiega anche che questa osservazione non solo amplia la conoscenza sui meccanismi fisiologici di PrPC: “ora che conosciamo meglio l’azione normale  della proteina prionica abbiamo maggiori elementi anche per comprendere cosa succede quando il processo non funziona e si innesca la sua azione patologica”, conclude lo scienziato.

Visited 1 times, 1 visit(s) today
Condividi