Si potrebbe considerarlo un personaggio unico di una favola esistenziale tra reale e immaginario. Il reale è dato dalla sofferenza, interiore e fisica; dalla volontà incrollabile; da un medagliere ricco e importante. L’immaginario è la sconfitta dell’impossibile, la rinascita alla vita, la vittoria su un tragico destino.
Si potrebbe poi osservarlo come un esempio da imitare, imparando che dalle tragedie della vita talora si può rivivere nella speranza ed essere davvero grandi uomini, mantenendo la semplicità e l’umiltà che caratterizzano persone uniche.
«Non conoscevo il mondo paralimpico e non mi sentivo un disabile»: il nostro straordinario esempio è Michele Pittacolo.
Michele, partiamo dall’inizio: quando hai iniziato a dedicarti al ciclismo?
«A 13 anni, per gioco. Mio zio era un ciclista e probabilmente la mia passione è nata vedendo lui andare in bicicletta».
Una passione che diede subito molte soddisfazioni…
«Fino al 2007 ho vinto 7 gare da dilettante; nel 1989 vinsi anche il titolo regionale e nel 1991 una gara open (dilettanti e professionisti) a Parenzo. Ho partecipato a diverse corse professionistiche, tra cui La Settimana Bergamasca e il Giro di Normandia. Ho corso con i dilettanti fi no al 1995».
Poi?
«Nel 1996 ho cominciato a gareggiare in mountain bike (MTB) con la tessera master: ho vinto tantissimo, più di 300 gare. Per quattro anni corsi con una squadra marchigiana e ogni fi ne settimana avevo la valigia pronta per le trasferte in tutta Italia. Ho vinto una cinquantina di gran fondo assolute MTB, battendo anche i professionisti, e ho partecipato a diversi mondiali ed europei master con la Nazionale».
Un atleta di grandi prospettive…
«Nel 2007 cambiai lavoro: gestivo una stazione di servizio con autolavaggio insieme a mio suocero e ad alcuni dipendenti, quindi potevo uscire i bicicletta solo durante le pause pranzo e solo quando il lavoro me lo permetteva. Avevo quasi abbandonatole gare… Ciononostante, il mese di giugno di quell’anno mi tolsi una bella soddisfazione, ottenendo il quinto posto al Campionato Europeo Master a Brno (Repubblica Ceca) con la maglia azzurra».
Neanche tre mesi dopo, però, il destino cambiò le carte in tavola.
«Il 12 settembre, durante la pausa pranzo, uscii in biciletta a fare la mia passeggiata in tranquillità. Da lì in poi, il buio totale. Non ricordo assolutamente nulla dell’incidente che mi ha visto coinvolto e nel quale ho rischiato la vita. Trasportato in elicottero all’ospedale Cattinara di Trieste, sono stato operato per trauma cranico con sfondamento del cranio».
La ripresa alla vita come fu?
«Dovetti ricominciare tutto daccapo, sia fisicamente che mentalmente. Ogni cosa era molto complicata: camminare, mangiare da solo, perfino lavarmi i denti, parlare in modo sensato. Pian piano ho re-imparato tutto di nuovo».
Una sfida durissima.
«Nel gennaio 2008 mi fu ricostruito il cranio in resina e titanio. Durante una visita di controllo, il dottor Tacconi, Primario della Neurochirurgia di Cattinara, mi disse che sarei potuto tornare in bicicletta, rigorosamente con il casco: non me lo feci ripetere due volte… Dentro di me scattò una molla. Fino a quel momento ero stato convinto di appendere la bici al chiodo, non ne volevo più sapere».
E invece…
«La prima uscita in bici della mia nuova vita la feci con mia moglie al seguito in macchina: cinque interminabili chilometri… Ma a ogni uscita successiva riuscivo ad allungare il percorso: questo mi fece capire che se quotidianamente potevo migliorare in bici, avrei potuto migliorare anche nella vita di tutti i giorni. E non ho più mollato, cercando di superare ogni ostacolo».
Fino al ritorno alle competizioni.
«Considerati i miglioramenti, decisi di tornare alle gare che facevo prima dell’incidente, vincendone pure qualcuna! Mi convocarono di nuovo in Nazionale master e all’Europeo di Brno conquistai il quarto posto, perdendo il podio per un centimetro».
Una prestazione che non passò inosservata…
«In quell’occasione i responsabili della Federazione Ciclistica Italiana videro la mia cicatrice in testa e mi proposero di entrare a far parte del mondo paralimpico, nella categoria di atleti con lesione cerebrale».
Accettare quella proposta cosa ha significato per te?
«La rinascita. All’inizio non ne volevo sapere. Non conoscevo il mondo paralimpico e non mi sentivo un disabile. Ma la Federazione Ciclistica Italiana e la Presidente del Comitato Paralimpico del Friuli continuavano a incoraggiarmi… Finché decisi di sottopormi a visita medica di classificazione. Nel luglio 2009, in occasione dei Campionati Italiani su Pista, fui visitato dalla commissione medica che mi classificò CP4 (paralisi cerebrale 4). Il giorno dopo vinsi la prima maglia tricolore pur senza essere mai salito su una bici da pista. Me l’aveva procurata il Commissario Tecnico della Nazionale, Mario Valentini, che voleva farmi correre a tutti i costi».
Decisamente a ragione, visto che ai successivi Mondiali di Bogogno conquistasti il titolo sia nella cronometro che su strada…
«Venire convocato per i Mondiali era già una gran soddisfazione, vincerli fu qualcosa di straordinario. Anche se, a essere sincero, solo dopo alcuni mesi capii il peso di quelle vittorie: due titoli mondiali agonisti, non master. Come premio, il CT mi volle portare anche ai Mondiali su pista a Manchester, in Gran Bretagna, dove staccai il record del mondo in qualificazione e vinsi il titolo nell’inseguimento individuale 4 Km, conquistando pure il bronzo nel km da fermo».
In Inghilterra per te i successi non erano ancora terminati.
«Nel 2012 partecipai ai Giochi Paralimpici di Londra, portando a casa una medaglia di bronzo che ha anche un po’ di oro. In quell’occasione, infatti, le categorie C4 e C5 furono unite e fecero classifica unica. Io arrivai terzo, ma della mia categoria, la C4 che è più grave della C5, risultai primo. Fu comunque un podio importantissimo che ricorderò sempre con grande emozione».
Da Londra 2012 a oggi: quante specialità ciclistiche pratichi ora?
«Attualmente tutte: strada, cronometro, pista e MTB. Nonostante gli interventi chirurgici e il fatto che la mano destra mi dia ancora molti problemi, la MTB rimane sempre la mia passione».
Rispetto a prima dell’incidente come si è modificato il tuo modo di allenarti?
«È cambiato tutto: prima mi allenavo da amatore, quando avevo tempo. Ora gli allenamenti sono il mio lavoro. Negli ultimi 10 anni il mondo paralimpico ha fatto un’evoluzione pazzesca, specialmente le categorie C4 e C5. Mi alleno ogni giorno in bicicletta e in palestra, curando nel dettaglio l’alimentazione e lo stile di vita».
Altre passioni oltre al ciclismo?
«Quando ho tempo mi dedico al restauro dei mobili. Con un po’ di pazienza e con calma, anche se le mani non rispondono più come prima dell’incidente, riesco a fare dei bei lavori. Uno degli ultimi è stato un “battilardo” che ho restaurato e regalato al CT Valentini».
In diverse interviste hai affermato che lo “Sport è maestro di vita”. Per chi?
«Per tutti. Per i bambini, per i ragazzi, per gli adulti. Imparare a soffrire e a superare gli ostacoli nello sport significa imparare a soffrire e a superare le difficoltà a scuola, nel lavoro, nella vita di tutti i giorni».
Quali suggerimenti dai ai ragazzi che incontri nelle scuole?
«Non ci si deve fermare al primo ostacolo. Ci vuole grinta e determinazione. Con la forza di volontà si va avanti e non si deve mai mollare».
Vieni definito un “atleta da imitare”. Quale dote, in particolare, vorresti che i giovani emulassero?
«La determinazione. Quando mi prefiggo un obbiettivo, non mollo. Finché non lo raggiungo».
Hai ricevuto dal presidente del CONI la “Medaglia al Valore Atletico”. Quale significato ha per te?
«Tutto quello che ho ottenuto dopo l’incidente sono emozioni indescrivibili. Quando guardo quella medaglia mi rendo conto di aver fatto qualcosa di importante».
Corri con una bicicletta speciale: quali tecniche hai dovuto apprendere?
«Ho applicato alcune strategie che mi permettono di avere prestazioni ‘normali’: i freni sono stati invertiti, la leva a sinistra è più lunga, perché ora ho un braccio più corto dell’altro, e con il cambio elettronico ho risolto molti problemi. Forse, se lo avessi avuto alle Olimpiadi, la mano non si sarebbe atrofizzata…»
Se dicessi Rio de Janeiro 2016, cosa risponderesti?
«Il mio fisico risponde ancora molto bene. Se nei prossimi anni i risultati continueranno a essere buoni non mi tirerò certo indietro. A Rio potrei togliermi ancora qualche bella soddisfazione».
E nella tua vita privata, invece, quale ‘oro’ vorresti conquistare?
«In questo momento l’oro più bello sarebbe aumentare la famiglia!»
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