Sessioni di libera improvvisazione nate per caso durante una vacanza in montagna, con una rudimentale strumentazione “da viaggio”. The Wolf Session è un progetto difficile da definire: la musica oscilla tra sonorità classiche e delicate della jazz guitar a momenti più aggressivi, laceranti, con riff e grooves potenti, una sorta di “free grunge jazz”, sempre densa di linguaggi emozionali intensi, poetici e crudi, rischiosi e privi di alcuna maschera patinata.
Ne abbiamo parlato con i due protagonisti: il chitarrista Antonio Jasevoli e il percussionista Mauro Smith.
Antonio e Mauro, partiamo dal titolo: cosa c’entra il lupo con voi?
“L’album nasce in un viaggio tra le montagne dell’Abruzzo, d’ inverno. Le sessioni iniziavano spontanee al tramonto, di sera, guardando la valle, i tetti, la neve. L’unico suono che ci accompagnava o ci interrompeva era la voce dei bambini. Il più piccolo tra loro, il figlio di Mauro di neanche un anno, si chiama Lupo. Il caso vuole che Antonio da ragazzino avesse come soprannome Lupo. Ecco fatto: perché non chiamare i brani The Wolf Sessions? Il lupo è un animale simbolico, è italiano, è bello quanto ingiustamente maltrattato: è un po’ la metafora della musica nel nostro Paese”.
Come è nato il vostro rapporto musicale?
“La nostra è un’amicizia che viene da lontano, ci conosciamo da tanto tempo. Un incontro recente, dopo anni in diverse città, ci ha portati direttamente in sala, strumenti alla mano a improvvisare liberamente, senza rete, senza maschere. Un vero e sincero piacere”.
Come sincera è da sempre la vostra passione per la musica…
“La passione per la musica è forte in entrambi ed è forse il sentimento che abbiamo coltivato di più nella nostra vita. E lo facciamo ancora. La musica è un’arte astratta e meravigliosa. In Italia sembra che abbiamo dimenticato il suo valore: è parte della nostra storia, della nostra tradizione…un po’ come il lupo!”
Il lupo è un animale simbolo delle foreste: quanto è importante la natura e l’ambiente nella vostra musica?
“In quanto arte la musica si occupa di riprodurre la natura interiore. La natura, l’ambiente che ci circonda sono materiali. La musica non li descrive, non ne ha gli strumenti: ma ne è condizionata, ne subisce il fascino e il declino”.
Attraverso la vostra musica quali messaggi volete trasmettere?
“L’unico messaggio che possiamo trasmettere è l’amore per la musica stessa, per l’arte nel suo insieme come altissima produzione dell’uomo. Come messaggio sembra già tantissimo”.
Entrambi siete musicisti con esperienze anche in altri campi artistici: questa poliedricità quanto influisce sul vostro modo di fare musica?
“La curiosità è uno dei motori che muovono l’arte. Entrare in contatto con altre forme artistiche, scambiare con altre discipline, trovarsi sul palco con attori o con artisti visivi, rappresenta uno stimolo a superare ll’astrazione puntando verso un tutt’uno fatto di immagini e suoni”.
Come definireste il vostro genere di pubblico?
“Curioso, aperto, libero da schemi di mercato e da compilation preconfezionate. Pronto ad ascoltare perché sveglio, attivo. Per nulla fruitore passivo di scelte fatte da altri con logiche e finalità anti culturali”.
Quella della musica in generale e del jazz in particolare è una storia di cultura: secondo voi oggi qual è lo stato di salute del panorama musicale italiano?
“Se il paziente non è morto, ci siamo quasi. La musica è espressione della cultura come l’architettura, la pittura, il teatro, la letteratura… Pensiamo a Londra negli anni del dopoguerra fino agli ’80. Una tale concentrazione di artisti pop, punk, rock, dark, jazz non è un caso. E Seattle dopo? La musica raccoglie spinte che vengono dal basso: richieste di cambiamento, d’integrazione, di dialogo, di libertà. Qualcuno tra noi pensa che in Italia ci siano queste istanze? La cultura è messa in un angolo da ormai un secolo, è compressa giorno dopo giorno in rivoli sempre più piccoli, condizionati da mercanti senza scrupoli”.
Nell’era della globalizzazione e dell’omologazione degli stili, in che modo la musica può diffondere messaggi nuovi?
“Forse solo attraverso la rete riusciamo a entrare in contatto con qualche novità, con messaggi e stili nuovi. L’underground è stata l’ultima corrente culturale globale che ha saputo incamerare protesta, comunicazione, business, diffusione e interpretazione. Ma c’erano ancora i dischi, le radio, i club. Oggi nulla di questo ha il peso che aveva in passato. Solo la rete”.
Ascoltando “The Wolf Session” quali emozioni vi piacerebbe emergessero nel pubblico?
“La sorpresa maggiore per un musicista che percorre un’improvvisazione e non un sentiero battuto è che ci sia meraviglia, non tanto per la difficoltà e l’estemporaneità dell’interpretazione, ma per il contatto che si crea tra artista e fruitore. L’improvvisazione ci mantiene nudi di fronte all’ascoltatore, privi delle reti di salvataggio che sono i brani, gli arrangiamenti, le correzioni, le sovraincisioni. In questo album noi siamo sinceri, spontanei, ruvidi e talvolta dolci come lo siamo di persona.
Avete collaborato entrambi con artisti di fama internazionale: a chi di loro siete più legati?
“Non ci piace privilegiare una persona tra quelle che abbiamo conosciuto. Ci piace ricordare al contrario la straordinaria curiosità e umiltà che ha contraddistinto alcuni di loro, i più grandi (a differenza di alcune starlette che conosciamo e che non fanno altro che autocitarsi). Curiosità e umiltà sono un comune denominatore per gli artisti che abbiamo amato di più e sono gli elementi e gli insegnamenti più nitidi che sono rimasti nei ricordi di entrambi”.
Sguardo al futuro: quali i prossimi obiettivi?
“Suonare il più possibile, ovviamente”.
Antonio Jasevoli è uno dei più interessanti chitarristi della scena contemporanea, con uno stile molto personale, una sintesi risultante da una formazione eterogenea sviluppata, nel corso degli anni, con la frequentazione di molteplici ambiti musicali e chitarristici: dal rock al jazz alla musica etnica, dall'elettronica alla chitarra classica, dalla scrittura colta europea alle forme d'improvvisazione contemporanea.
Pioniere ed importante riferimento per intere generazioni di chitarristi nell'uso degli effetti elettronici applicati alla chitarra elettrica, è al tempo stesso un grande conoscitore della chitarra classica, di cui è uno degli interpreti più originali.
Nel corso della sua carriera ha pubblicato numerosi dischi da solista e come ospite, attualmente pubblica molti suoi lavori per la prestigiosa etichetta “Parco della Musica Records”.
Ha collaborato con i massimi esponenti della musica internazionale (Kenny Wheeler, Tony Scott, Steve Grossman, Andy Sheppard, Bob Brookmeyer, Maria Shneider, Daniel Humair, Ernst Reijsenger, Dominique Piffarelly, Antonello Salis, Paolo Damiani, Paolo Fresu, Fabrizio Bosso, Gianluigi Trovesi, Don Moje, John Taylor, e tanti altri…), esibendosi nei più importanti teatri e festival internazionali.
Nel corso della sua carriera ha composto musica per Teatro, Danza, Cinema ed altre forme d’arte.
È leader di vari progetti, dal solo al quintetto, in cui esprime il suo mondo sonoro.
Dirige La GEO, Guitar Experience Orchestra organico di 30 chitarre di S. Cecilia, di cui è anche arrangiatore e compositore.
Maestro di "Chitarra Jazz" ed "Armonia, Analisi e Tecnica d'improvvisazione" presso il Conservatorio di S. Cecilia di Roma dal 2007 ad oggi, è stato il primo docente di Chitarra Jazz nella storia di questa prestigiosa Istituzione, inoltre ha insegnato Chitarra Jazz al Conservatorio A. Casella di L’Aquila ed al Conservatorio O. Respighi di Latina, attualmente presso i Conservatori L.Refice di Frosinone e L. Cherubini di Firenze.
Mauro Smith, musicista, architetto e artista visivo è tra i fondatori dei Neroitalia, band che negli anni 90 pubblica Il suono delle radici (W&w), Distanze (Harmonia Mundi, France) e Terres du sud Italie (Harmonia Mundi, France).
Tra il 1999 e il 2005 prende parte parallelamente a progetti musicali di artisti pop, tra i quali, Ornella Vanoni (Adesso, CGD East West), Enzo Gragnaniello (Oltre gli alberi, Sugar/Universal) e Alan Wurzburger (Amour amer, Sottosuono).
Nel 2006 pubblica il cd La danza di Uaio il Pesce (Itinera), disco di duo cameristico e d’improvvisazione di pianoforte e batteria Urciuolo Smith; il disco è considerato dalle riviste di jazz italiano tra i migliori dell’anno.
Compositore ed esecutore di colonne sonore per corti e documentari, di installazioni artistiche e rappresentazioni teatrali, letture in musica e dialoghi tra fotografia, video e percussioni dialoga o collabora tra i vari con Wayne Shorter, John Patitucci, Danilo Perez, Brian Blade, Dan Fante, Horacio El Negro Hernandez, Robbie Ameen, Joe Amoruso, Tiziano Scarpa, Silvio Perrella, Michele Serio, Alessandro Cimmino, Luca Aquino, Vito Ranucci.
Progetti, opere d'arte e performance sono ospitati nelle manifestazioni artistiche più importanti europee, i concerti nei migliori festival di musica jazz, contemporanea, pop e d’improvvisazione.
Tra i il 2015 e il 2016 nascono i progetti con il chitarrista Antonio Jasevoli The Wolf Sessions e Divergent Meetings.
Si ringrazia per la collaborazione Lucilla Corioni.
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