Gli orfani della speranza

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redazione

14 Luglio 2017
Reading Time: 3 minutes

Il Collegio Arti e Mestieri di Gradisca d’Isonzo

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Roberto Terpin, originario di Capriva del Friuli, è residente a Fiumicello. Lo scorso 17 maggio ha presentato il libro Gli orfani della speranza, concepito per testimoniare la sua esperienza di orfano ospite del Collegio Arti e Mestieri di Gradisca d’Isonzo unendola ai ricordi e alle testimonianze di altri ex allievi del Collegio. Una generazione, come raccontano le interviste pubblicate, che ha saputo costruirsi con le proprie mani quel domani migliore che i loro genitori avevano solo potuto sognare.

Roberto, perché fu ospite nell’Istituto Arti e Mestieri di Gradisca d’Isonzo?

«Mio padre fu gravemente mutilato alle mani a causa di un incidente sul lavoro, di conseguenza non era in grado di svolgere alcun impiego manuale. Fortunatamente fu assunto come portinaio alla Solvay di Monfalcone. Nel 1951 da Capriva del Friuli la famiglia si trasferì a Gradisca d’Isonzo; nel 1954 mia madre morì, così io e mio fratello maggiore fummo ospitati nel Collegio Arti e Mestieri di Gradisca, come orfani di lavoro».

Come ha trascorso la sua permanenza in collegio?

«Cito le parole pronunciate dallo scrittore Edgar Allan Poe: “…io già non ero come altri erano, né vedevo come gli altri vedevano. Tutto quello che amai, io l’amai da solo”. Rimasi nel collegio dieci anni e furono difficili e complicati. Regnava una rigida crudezza e una ferrea disciplina, anziché la dolcezza, la comprensione e la tolleranza. I bambini che hanno i genitori spesso non sono consapevoli della loro fortuna, a prescindere dalla condizione economica e dalla condizione educativa e affettiva, ciò che conta è che la famiglia ci sia. Si può immaginare quanto profondamente abbia inciso su bambini orfani già segnati da ferite profonde, difficili da guarire. A ogni piccolo orfano il destino toglie qualcosa di caro ed essenziale, che non sarà mai possibile sostituire».

Cosa le è rimasto nel cuore di quegli anni una volta uscito dal Collegio?

«Ciò che oggi ancora sopravvive a quel mondo lontano è il ricordo che, col passare del tempo, si fa sempre più nostalgico. Quel mondo fatto di storie, esperienze e privazioni, quel mondo ormai remoto ma pur vivo nella mente di chi è stato in qualche modo legato alla collettività, come nel mio caso, è diventato un mito. Ricordo con piacere e con serenità i momenti belli ma anche le grandi delusioni».

Cosa l’ha spinta a scrivere questo libro?

«L’idea di realizzare il libro è nata nel 2011, 47 anni dopo la chiusura del Collegio Arti e Mestieri, quando progettai, come fautore, l’evento della prima rimpatriata degli ex allievi, provenienti da ogni parte del Friuli Venezia Giulia. Fu una decisione impulsiva e azzardata, che non poteva cancellare tuttavia la consapevolezza della difficoltà. Temevo e al tempo stesso avevo fiducia di poter trovare in me risorse necessarie per affrontare la nuova sfida».

Qual è lo scopo di questo libro?

«Ricostruire la storia di una generazione, quella degli orfani della speranza di un futuro migliore che tarderà a lungo a manifestarsi nel nostro lunghissimo dopoguerra. La nostra speranza è che il volume sia letto non solo dagli ex allievi, perché trovino anche loro la forza e il bisogno di raccontare, ma che sia conosciuto anche dalle generazioni più giovani. Può servire agli operatori della scuola per cominciare a spiegare quegli anni, certo servirà a tutti noi per riappropriarci di una pagina importante della nostra storia. Infine spero aiuti a ricordare l’ex Villa Olga, ora di proprietà CISI (Consorzio Isontino Servizi Integrati) di Gradisca d’Isonzo nella quale fu istituita, nel 1942, la Scuola Arti e Mestieri per orfani di guerra e di lavoro».

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