Dottore, che sintomi ha la felicità? Con questa domanda, non si pensi che collochiamo la felicità tra le malattie dell’animo o del corpo, al pari della depressione o della febbre, ma ci chiediamo cosa caratterizza uno stato felice e come è una persona felice.
Il tema della felicità è un interrogativo su cui gli uomini ragionano e riflettono da sempre; ha senso ancora oggi, millenni dopo i pensatori greci, ragionare su tale tema? Domanda retorica potrebbe obiettare qualcuno, considerato che se ne parla in più spazi e modi diversi, in modo diretto e in modo implicito, affrontando altri temi affini (il benessere e il dolore, la pace e la guerra, per citarne i principali).
Pertanto, alla domanda con cui abbiamo aperto l’articolo, segue una risposta? O la risposta? O ancora vi possono essere più risposte?
Al pari della felicità, la gioia, la serenità, l’appagamento, la pace con se stessi, l’allegria, la contentezza, sono tutte accezioni positive di uno stato di benessere, più o meno duraturo nel tempo e nello spazio, di chi ritiene soddisfatti tutti i suoi desideri. Le cause alla base di tale stato possono essere molteplici e variegate: beni materiali di cui l’uomo si circonda, presenza di persone amate, assenza di malattie, riconoscimento sociale, vengono considerati da una parte degli individui come dei possibili “sintomi” che garantiscono uno stato di ben-essere psicologico che queste persone etichettano come felicità. Perché biasimarli? Se veramente il perseguimento di tali obiettivi determina per loro uno stato di felicità, nessuna obiezione ha senso. Spesso, però, accade che quelle stesse persone sono in continuo affanno per la conquista di quegli obiettivi e dunque sono continuamente impegnate nella ricerca della felicità, perdendo di vista ciò che le circonda che, a sua volta, perde di senso.
Se volgiamo il nostro sguardo sul mondo attorno a noi, troppo spesso notiamo questi panorami. Il mondo dello spettacolo, per esempio, fornisce molteplici esempi di queste situazioni di perpetua ricerca della felicità da parte di coloro che, agli occhi della moltitudine, possiedono tutto ciò che rende felici: fama, ricchezza, amore, lusso. Eppure, non di rado, succede che tali persone dichiarano la loro infelicità. Per costoro, il raggiungimento dei vari traguardi rappresenta un fine temporaneo dell’esperienza quotidiana; la felicità consiste nell’attesa di un evento, nel desiderio di una persona, nella rincorsa di un ideale, ma non coincide con essa. La fine dell’attesa e l’esaurirsi del desiderio trasformano quell’ambito traguardo in un’ennesima tappa di una corsa che in realtà non finirà mai, così come mai sarà raggiunta la felicità.
Se così è, allora quelle persone sono forse da biasimare e aiutare? A questo punto, viene spontanea una domanda: di cosa abbiamo veramente bisogno per essere felici? Se volgiamo ancora un attimo il nostro sguardo in altra direzione, noteremo persone che esprimono la loro felicità disponendo del minimo indispensabile dal punto di vista materiale, ma trasudando una ricchezza immateriale che dona un permanente stato di felicità.
Dunque, la felicità non è conseguenza diretta del possesso di ciò che si desidera (materiale o immateriale che sia), ma affonda le sue radici altrove?
Forse alla base della felicità vi è la spensieratezza, come quello stato di incoscienza proprio dei bambini? Se così fosse, gli adulti sono “condannati” a essere infelici? Oppure, per essere felici, dovrebbero ritrovare il bambino libero da ambizioni e da influenze che c’è dentro ciascuno?
Ma siamo certi che la felicità sia priva di coscienza e di intenzionalità? Nei bambini, questi due elementi sono in via di sviluppo; la felicità non viene concepita come uno stato duraturo di ben-essere, ma come una condizione temporanea determinata da alcuni fattori rilevanti (ad esempio, la presenza della madre, l’assenza di dolore, il possesso del giocattolo preferito, ecc.).
E poi la felicità di un bambino può essere la felicità di un grande? Riprendiamo la domanda: noi adulti siamo “costretti” a essere infelici?
Dipende da noi. Vogliamo essere affannati nel quotidiano correre e rischiare di dimenticare il valore di ciò che già abbiamo? Spesso siamo impegnati a guardare dritto davanti a noi, senza osservare; a sentire continuamente i rumori del mondo esterno, senza dar ascolto alla nostra anima; a desiderare, ma non amare. Vogliamo invece rallentare e dare ascolto al nostro cuore?
Così pensando, la ricerca della felicità non è un percorso esteriore, ma la strada da percorrere per il suo perseguimento è dentro ciascuno di noi. La felicità è una condizione di vita che con essa si trasforma, da applicare in tutte le azioni quotidiane. È un’emozione fatta di piccoli segni, ma è anche un bisogno, al pari del cibo e dell’acqua.
Siamo noi a poter scegliere. Come operatori del sociale, ossia persone impegnate quotidianamente con le persone, a volte già deboli e fragili, dobbiamo infondere felicità nelle nostre semplici azioni di cura e di sostegno; trasmettere la gratitudine per il lavoro che si svolge, porre attenzione ai dettagli come vorremo fosse fatto verso di noi, offrire sorrisi sinceri, provenienti dal cuore.
Succede, invece, che siamo afflitti dal lavoro che svolgiamo, che siamo superficiali nelle azioni che realizziamo, che comandiamo i nostri sorrisi con la mente. Qualcuno potrà dire che non è facile. Come dargli torto, obiezione corretta. Ma se è veramente importante essere felici, l’impegno non è gravoso, ma si trasforma in piacere e, come tale, diviene gesto naturale. All’amico Lucilio, che si interrogava sulla felicità, Seneca scriveva: “I nostri difetti ci seguono, dovunque andiamo.
Le cose che ci rendono tristi sono radicate nel nostro animo: a che serve cambiare posto e vedere persone nuove se non curiamo prima i nostri mali?”.
Vi è dunque una risposta alla domanda iniziale dell’articolo? E se sì, qual è? Per noi, la risposta c’è: la felicità abita dentro ciascuno di noi; troppo spesso, guardiamo attorno, senza vedere che è insita lì. Il fatto di considerare come dono la vita e ciò di cui essa si compone dovrebbe rappresentare la base della nostra felicità. D’altra parte, “nessuno è infelice se non per colpa sua”; essere coscienti di ciò è la chiave giusta per percorrere il sentiero della felicità? Noi crediamo di sì.
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