L’Europa sta facendo le cose giuste per rimettersi sulla strada della crescita, possibilmente sostenibile e inclusiva? I dibattiti a livello istituzionale da un lato e le politiche varate e previste nei cinque anni dall’inizio della crisi dall’altro risultano inadeguati rispetto alla portata delle sfide e alla complessità delle problematiche in gioco. Se gli uni non sembrano trovare la necessaria condivisione nell’individuazione delle soluzioni, le altre non sono caratterizzate dalla determinazione e dal pragmatismo atti a concretizzarsi in misure efficaci.
Dibattiti e politiche prigionieri di un impaludamento frutto di sterili contrapposizioni pseudo dottrinali – in economia e finanza tra neo classicismo e neo keynesismo – che assomigliano più a guerre di religione che a confronti razionali e fattuali su cause e rimedi.
Gli effetti diretti e indiretti di questa spesso malcelata situazione di stallo ricadono prevalentemente sulle fasce più deboli della società, le classi meno attrezzate a reagire e più colpite dal progressivo deteriorarsi delle condizioni economico-sociali. In Italia questa situazione sta assumendo toni drammatici, foriera com’è di aspettative nefaste per il prossimo futuro.
Una delle questioni chiave che, se adeguatamente affrontata, può invertire la drammatica deriva che abbiamo imboccato, ruota attorno al problema di come assicurare un corretto livello di finanziamenti per investimenti a lungo termine sia in infrastrutture sia per le Piccole e Medie Imprese (PMI), fondamentali nel processo di rilancio dello sviluppo economico, dell’innovazione, della competitività e soprattutto della creazione di opportunità di lavoro.
Data la limitata disponibilità di risorse pubbliche – l’aggettivo risulta eufemistico se riferito al contesto italiano – e di credito bancario, a causa della riduzione della leva finanziaria (indebitamento) indotta anche dalle nuove normative restrittive, è essenziale affrontare la problematica senza preconcetti e posizioni obsolete, vittime di retaggi del passato, per esplorare in modo aperto come l’efficacia del sistema finanziario – i mercati, le istituzioni, gli strumenti finanziari – possa essere migliorata per canalizzare il risparmio a disposizione per il finanziamento di progetti infrastrutturali necessari per le imprese, soprattutto le PMI.
La crisi del settore finanziario, che ha coinvolto direttamente le cosiddette banche di investimento, ha progressivamente colpito anche le Banche “tradizionali”, ovvero quelle che raccolgono depositi per reimpiegarli nell’economia delle famiglie e delle imprese, contribuendo in particolare a limitare il credito per le PMI, data l’elevata dipendenza delle piccole imprese da forme tradizionali di credito bancario. Questo problema è aggravato dal fatto che in Italia, e in tutta Europa, le PMI non hanno storicamente mai avuto un significativo accesso ai mercati del capitale, sia esso diretto o indiretto, e in particolare ai mercati dei capitali di debito (inclusi i minibond introdotti dal Decreto Sviluppo).
Il nuovo contesto normativo-regolamentare delle Banche post crisi è ancora in evoluzione, ma ha di fatto limitato l’offerta potenziale di finanziamenti alle PMI.
Al contempo, il venir meno di un mercato delle cartolarizzazioni, a seguito della nota vicenda dei subprime (mutui ipotecari aggregati, impacchettati e venduti come nuova carta, appunto), in grado di mobilizzare sia l’interesse degli investitori per le imprese sia la rotazione dei prestiti nei bilanci delle banche per un successivo reimpiego, rappresenta un ulteriore vincolo per l’accesso delle PMI ai mercati dei capitali.
Per non gettare il bambino con l’acqua sporca, il mercato delle cartolarizzazioni andrebbe riconfigurato distinguendo tra cartolarizzazioni “buone” e “cattive”, per consentire un trattamento normativo differenziato tra prodotti finanziari di qualità (profili di rischio/rendimento) ed efficienti (costo) da un lato, e veicoli di cartolarizzazione più rischiosi o speculativi dall’altro.
Alcuni governi nazionali e regionali, anche in Italia, hanno risposto a questa esigenza sviluppando iniziative come i Fondi di Garanzia, in cui il denaro pubblico viene utilizzato per contenere i rischi del sottoscrittore/investitore in questi titoli, al fine di mobilitare finanziamenti supplementari del settore privato per le imprese.
Tuttavia, a prescindere da valutazioni di congruità delle risorse finanziarie allocate ed erogate al riguardo, nel tentativo di espandere o sviluppare fonti alternative di prestiti anche non bancari alle PMI, l’offerta di finanziamenti non è l’unico ostacolo che deve essere superato, in quanto vi sono ulteriori problematiche connesse alla trasparenza delle operazioni di finanziamento/investimento, alla costruzione di un quadro di fiducia nei rapporti tra domanda e offerta di credito, alle necessarie campagne di sensibilizzazione, ai costi di istruzione e di emissione delle operazioni di finanziamento, inclusi i costi di raccolta di un set di informazioni appropriate sulle PMI.
Infatti se lo sviluppo di forme alternative di finanziamento per le PMI è essenziale, rimane importante il ruolo che le banche possono continuare a svolgere date le loro reti di contatto e radicamento nel territorio.
Affrontare la sfida dei finanziamenti non bancari delle PMI comporta introdurre innovazioni normative, informative, comportamentali e finanziarie, quali:
- Quadro regolamentare: il regime normativo (Basilea 3, Solvency 2, ecc.) in evoluzione in Europa non dovrebbe generare potenziali ostacoli allo sviluppo di operatori, strumenti e mercati per il rafforzamento del finanziamento non bancario del settore delle PMI.
- Informazioni e trasparenza: un modo di affrontare i problemi della carenza di dati affidabili e strutturati sulle PMI e dei relativi costi di accesso per i potenziali investitori potrebbe consistere nel richiedere ai percettori dei finanziamenti e a chi riceve un sostegno finanziario pubblico di fornire situazioni economiche, finanziarie e patrimoniali annuali a una piattaforma informativa indipendente (partnership pubblico-privato) che garantisca l’accessibilità e l’aggiornamento di database web based.
- Nuovi strumenti finanziari: il potenziale di sviluppo di strumenti finanziari innovativi come i minibond, affinché non si limiti a una platea ristretta di PMI di elevata qualità (in termini di solidità, rating, modello di business, ecc.) per sfruttare e migliorare gli investimenti del settore privato nei settori promettenti, in termini di mercati e produttività sociale, dovrebbe prevedere lo sviluppo e il rafforzamento di un sistema di garanzie pubbliche, anche razionalizzando la frammentazione dell’offerta e degli operatori esistenti, inadeguata per dimensioni, specializzazioni, competenze e dotazioni patrimoniali.
- Mercati e Cartolarizzazioni: in materia di cartolarizzazione dovrebbe essere riconfigurato il trattamento normativo, differenziando tra prodotti di qualità e più efficienti da un lato e veicoli di cartolarizzazione più rischiosi o speculativi dall’altro.
Inoltre si dovrebbe favorire lo sviluppo di soggetti specializzati/agenzie per l’aggregazione di opera zioni di finanziamento da parte delle PMI, investendovi direttamente o per facilitarne l’accesso ai mercati obbligazionari.
- Incentivazioni: il quadro fi scale e legislativo dovrebbe incorporare un forte orientamento al mercato degli investitori con misure volte a incentivare finanziamenti non bancari nelle PMI.
- Approccio cooperativo: soltanto una maggiore collaborazione e impegno tra le parti interessate (imprese, associazioni industriali, enti di garanzia, investitori istituzionali, finanziarie pubbliche, ecc.) può favorire l’introduzione, la visibilità e lo sviluppo di operazioni di successo e di soluzioni credibili quali catalizzatori per la realizzazione di masse critiche di finanziamenti non bancari delle PMI.
Gli investimenti a lungo termine dipendono dal coerente sviluppo di una serie di fattori di contesto: il quadro normativo, le regole contabili, corporate governance, fiscalità di vantaggio, e anche il rapporto risparmiatore/investitore e i fattori comportamentali come la propensione al rischio, le competenze, il rapporto di agenzia tra investitori e gestori di asset (risorse economiche).
Affrontare questa situazione richiede quindi una serie di azioni coordinate che incoraggino il passaggio da un eccessivo orientamento al breve termine di imprese e investitori verso un’ottica a più lungo termine di aumento della produttività industriale, sociale e quindi finanziaria degli investimenti.
Per realizzare un’evoluzione così complessa uno dei fattori chiave di successo risiede nella ripresa di un dialogo più intenso tra la politica e l’industria finanziaria: il processo di formulazione di un quadro di riferimento e di soluzioni adeguate richiede infatti un ripensamento del rapporto tra la stabilità finanziaria e la crescita. Nel dibattito politico, economico e istituzionale stabilità e crescita vengono spesso considerati come poli contrapposti in un gioco a somma zero, dando luogo a politiche che scambiano punti di stabilità con punti di crescita e viceversa.
Al contrario, dovrebbero essere meglio indagate le relazioni di interdipendenza che in modo sinergico contribuiscono alla realizzazione di obiettivi non conflittuali: garantire una maggiore stabilità del settore finanziario e assicurare un flusso stabile e costante di investimenti a lungo termine.
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