Scattando sui pedali

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Michele D'Urso

26 Luglio 2018
Reading Time: 3 minutes

Il bisiaco Alessandro Faccio

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Per il ciclismo abbiamo già ospitato, fra le pagine della nostra rubrica, corridori che si sono distinti in un passato abbastanza distante nello sport del pedale, come Maurizio Gazziero e il compianto Valter Candusso. Stavolta saltiamo una generazione e ci avviciniamo ai giorni nostri con Alessandro Faccio, bisiaco doc, che con la bicicletta qualche bella soddisfazione se l’è tolta…

Alessandro, tutto ha un inizio; lei a che età ha cominciato a pedalare?

«A otto anni, stufo di stare in panchina nella squadra di minibasket, chiesi a mia madre di poter passare al ciclismo…»

Una scelta di istinto che però in breve la portò sulla strada dell’agonismo…

«Praticamente sono nato agonista, perché alla seconda gara colsi la mia prima vittoria, e da lì avanti non ho mai pensato più di pedalare per passeggiare».

Qual è la gara che ricorda con maggiore piacere?

«In realtà amo tutte le mie gare, anche quelle andate male: fanno parte di me e non ne dimentico nessuna».

Con una passione così grande la via del professionismo poteva non essere impossibile per lei…

«Invece, in tutta umiltà, sono dell’opinione di essere un buon ciclista ma non un fuoriclasse. Ecco perché non ci ho nemmeno mai pensato davvero».

Secondo lei erano più forti i ciclisti della generazione dei Moser e Saronni, o della sua, quella dei Di Luca?

«Senz’altro la generazione di Moser e Saronni aveva qualcosa in più, e le loro imprese resteranno a lungo negli annali della storia del ciclismo. Quelli che sono venuti dopo mi sembrano meno genuini, più costruiti».

Si è ispirato a un campione in particolare?

«A Francesco Moser, senza dubbio. Ho avuto sia l’onore di conoscerlo personalmente sia il piacere di visitare la sua bella cantina. E devo dire che anche come produttore di vini, Moser conferma di essere un grande campione».

Le due ruote sono ormai dappertutto, si va sulla neve con le Fat Bike, sui muri con la BMX… Fra tutte le novità venute a galla nel tempo, cos’è ancora ciclismo?

«Tutto è ancora ciclismo, perché questo sport, per me, rappresenta il concetto primordiale della parola ‘vita’, ovvero vento in faccia, fatica, sudore, lacrime e gioia, tutte emozioni che rendono la vita quell’esperienza magnifica che è».

Per questo ha scelto le gare a ‘scatto fisso’?

«Proprio così. La vita non ti concede pause; come si pensa troppo spesso, la vita è vita sempre, in ogni istante. E sullo scatto fisso non puoi proprio pensare di prenderti una pausa, e questo scatena in me quella fantastica emozione che segue la scossa adrenalinica di quando pensi che non devi mollare mai».

Lei ha recentemente partecipato a un ‘criterium’ a Berlino: in cosa consiste questa competizione?

«Un ‘Criterium’ è una via di mezzo fra una esibizione e un campionato. Se vinci puoi dire di aver vinto una gara importante ma che non ti dà nessun titolo. Quello di Berlino consisteva in 600 partecipanti che si sono dati battaglia percorrendo 42 km a ‘tutta birra’, termine più che appropriato vista la mancanza dei freni, della possibilità di fare pausa e che … eravamo in Germania!»

In definitiva lei è uno ‘stradista’ puro, o quasi?

«Togliamo pure il quasi, perché io non faccio altro: no mountain bike, no ciclo cross o altro…»

Farà mai l’allenatore?

«No, assolutamente. Ho molta stima del ruolo e sono consapevole che anche per quello ci vogliono doti particolari che non sono le mie».

Cosa si augura per se stesso nel prossimo futuro?

«Mi auguro di potermi divertire ancora tanto e a lungo con la mia passione più grande: la bicicletta».

Questa è proprio una dichiarazione di amore verso il pedale: chissà se la sua morosa sarà d’accordo… Hai voluto la bicicletta? Pedala!

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