Come interpretare l’innovazione in un’agricoltura che in futuro dovrà essere sempre più sostenibile e contemporaneamente aumentare produttività e qualità? Guardare a un ritorno al passato o puntare sulla ricerca e la tecnologia? Alcune delle risposte, con diversi punti di vista, sono state prospettate oggi al Future Forum a Udine – in un’affollata Sala Valduga –, al primo incontro della settimana conclusiva della rassegna, dedicata proprio alla scienza, alla natura, all’alimentazione dei prossimi anni.
Una sezione curata da Michele Morgante, professore ordinario di genetica all’Università di Udine e accademico dei lincei, che oggi ha aperto i lavori, animati dai contributi di Alberto Capatti, dell’Università di scienze gastronomiche di Pollenzo, Annalisa Saccardo dell’Area ambiente e territorio di Coldiretti e Kurt Schmidinger, esperto in scienze dell’alimentazione, fondatore e direttore in Austria del portale Future Food, che diffonde informazioni sui cibi alternativi agli alimenti di origine animale e promuove la ricerca per la produzione in vitro di alimenti sostitutivi, senza l’impiego di animali o di sostanze di origine animale.
«Secondo dati del Programma ambiente delle Nazioni unite – ha evidenziato Morgante –, a tecnologia costante, nel 2050 produrremo dal 5 al 25% in meno di cibo rispetto alla domanda. Problemi come il cambiamento climatico, la degradazione del suolo o la scarsezza di risorse idriche provocheranno un aumento dei prezzi globali del cibo dal 30 al 50%, con una popolazione del pianeta cresciuta di 2.7 miliardi rispetto a oggi e un fabbisogno di cibo aumentato del 50%. Si tratta di un’equazione complessa da risolvere, dobbiamo produrre più alimenti diminuendo l’impatto della produzione agricola sull’ambiente, diminuendo il ricorso a fertilizzanti erbicidi, pesticidi, fungicidi, ma anche di acqua, e insieme aumentando la qualità degli alimenti e la loro salubrità».
Finora come ha progredito l’agricoltura? Con il miglioramento genetico, modificando e migliorando piante e animali di cui ci nutriamo, ha detto Morgante , con la chimica, che ha dato un consistente contributo all’aumento delle produzioni ed è servita anche a proteggere piante e animali da una serie di “nemici” ma su cui va aperta una riflessione di sostenibilità per il futuro, e con le tecniche agronomiche, che si trasformano per migliorare la produzione. La scienza ci dà oggi tante possibilità, ci consente di modificare in maniera mirata il Dna delle piante, evitando sempre più impianti “esogeni”. Quanto di questo potenziale possiamo e vogliamo sfruttare? Morgante ha fatto l’esempio della viticoltura, «che finora non ha fatto ricorso al progresso genetico, le varietà sono le stesse di 200 anni fa, sono estremamente sensibili a peronospora e oidio. La soluzione è stata in gran parte trovata nella chimica: la viticoltura occupa il 5% della superficie coltivata in Europa ma utilizza il 50-60% di tutti i fungicidi usati in agricoltura. È questo il prezzo pagato per non adeguarsi al progresso genetico, un’agricoltura sempre meno sostenibile».
Dunque, quale tipo di innovazione ci servirà, visto che dobbiamo cambiare? Per Capatti, da storico dell’alimentazione, «è fondamentale non avere un approccio ideologico al cibo e alla produzione alimentare. La storia del presente descrive e immagina il futuro secondo la definizione di “catastrofe” e ciò vale anche per il “sistema alimentare”. Ci si chiede quale sarà la disponibilità alimentare del futuro, ma si prevede anche la scomparsa di specie vegetali e animali, di forme di agricoltura e approvvigionamento, si parla di eccessi in ambito produttivo, eventi come la mucca pazza o il vino al metanolo costellano la nostra storia alimentare». Capatti ha criticato una visione di futuro «che è ritorno indietro, una visione radicale retroattiva della produzione, localizzata nelle sue minime accezioni. Oggi c’è sempre più focalizzazione immaginifica sul prodotto e di fatto ci troviamo in un’immobilità di dibattito e di concetti».
Schmiedinger ha prospettato una strada concreta di futuro possibile, basata a sua volta su una scelta radicale, ossia sull’abbandono del consumo di prodotti animali. Il fondatore di Future Food ha posto in evidenza il dispendio “insostenibile” derivante dall’industria della carne, anche presentando un cortometraggio animato che prende il nome di “The Meatrix” (utilizzando “meat”, carne, in un gioco di parole con il titolo del film “The Matrix”). Schmidinger ha spiegato come il consumo di carne in sostanza crea il più elevato consumo di risorse e rischi per la salute dell’uomo e per l’ambiente, oltre che per la vita degli animali stessi. Il suo “future food” è dunque un’alimentazione che sostituisce la carne, con varie soluzioni, tutte strettamente legate alla produzione vegetale – e alla soia in particolare –, «decisamente meno invasive e dannose per l’ambiente e l’uomo». Dalla soia, Schmidinger è passato anche a prospettare alternative per latte e uova, fino ad arrivare alla «carne “in vitro"», praticamente riprodotta in laboratorio – anche se la sua messa in produzione, ha ammesso, provoca riflessioni etiche, oltre che economiche.
Infine Saccardo, di Coldiretti, che ha evidenziato come la scelta alimentare del futuro sarà fortemente influenzata da motivazioni nutrizionali, motivazioni percettivo-sensoriali, motivazioni etiche e religiose. L’agricoltura,. oltre a produrre alimenti, deve proteggere gli habitat, deve perciò essere tutelata rispetto alla sottrazione di suolo da parte di altri settori produttivi. «Oggi, e sempre più in futuro, l’agricoltore è un “land manager”: fornisce alimenti, gestisce il territorio e le risorse ambientali». Per la Saccardo, l’agricoltura può innovarsi in tanti modi. Per esempio, tramite il miglioramento genetico, senza però ricorrere agli Ogm, soddisfare anche la domanda dei consumatori che rifiutano alimenti geneticamente modificati; ma deve anche puntare a un uso efficiente e sostenibile dei mezzi di produzione: fitofarmaci (meno residui negli alimenti, più tutela ambientale) e fertilizzanti (difesa della fertilità dei suolo). Inoltre deve impegnarsi nel riciclo degli scarti della produzione agroalimentare e nel reimpiego nel ciclo produttivo aziendale, contemporaneamente avviando una gestione efficiente delle risorse idriche (con sistemi di irrigazione innovativi) e delle fonti energetiche, tramite lo sviluppo delle agro-energie.
«Il futuro sta negli alimenti a forte connotazione territoriale», ha evidenziato Saccardo, portando alcuni numeri. L’Italia, campione del mondo delle produzioni a Denominazione d’Origine, con 248 registrazioni, detiene il 22% del totale europeo, seguita dalla Francia con 192 prodotti (17% del totale europeo). Nel corso del 2012 ha ottenuto il maggior numero di nuove Do (5 Dop e 4 Igp), mentre Francia e Spagna hanno aggiunto al loro paniere solo 4 prodotti a testa. In totale, nel 2012, i prodotti a marchio Dop, Igp e Stg sono aumentati di 57 unità, raggiungendo così un totale di 1.137. Secondo uno Studio Eurispes 2013 sull’alimentazione, acquistano prodotti alimentari made in Italy oltre due terzi degli italiani (77,6%); due terzi del totale (76,8%) controllano anche l’etichettatura e la provenienza degli alimenti che acquistano e quasi la metà (46,4%) compra spesso prodotti Dop, Igp, Doc.
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