Antonella Perrucci, l’imprenditrice del cinema

imagazine_icona

Anna Limpido

24 Agosto 2020
Reading Time: 7 minutes

Storie di donne a Nordest

Condividi

Presidente della Galaxia Nova Film, un book casting di oltre 45.000 iscritti, vent’anni sul mercato cinematografico italiano e internazionale, nomination al Nastro d’Argento come Casting Director per il film Il Ragazzo Invisibile nel 2015, riconoscimenti dalla Camera di Commercio di Gorizia nel 2011 e dal Comune di Monfalcone nel 2013 e poi casting per Tolo Tolo di Checco Zalone, Volevo fare la Rockstar di Matteo Oleotto, spot pubblicitari, serie tivù e tanto altro ancora. Questa è Antonella Perrucci, giovane imprenditrice di Gorizia dalle orgogliose origini pugliesi.

Mi accoglie con un grande sorriso nel suo ufficio alle pendici del Montesanto, tutto è allestito da set fotografico, fatta eccezione per l’area dove lavorano le collaboratrici e uno spazio relax dove ci accomodiamo noi. Antonella la conosco da molti anni: è sempre stata bella, di quella bellezza semplice mai sporcata da troppo trucco, briosa, luminosa, dai modi gentili e accoglienti.

Oggi però ha qualcosa in più: è posata, consapevole, una donna che, maturando, ha fatto spazio alla riflessione e alla moderazione. Una mamma oltretutto di due splendidi maschietti di 6 e 4 anni avuti con Giovanni «a cui devo moltissimo di quello che ho realizzato, guai se non avessi avuto la sua spalla per la crescita dei nostri figli», mi confida. Riconoscente dunque, virtù appannaggio di pochi, ma anche una meravigliosa dedica d’amore nel segno dell’equilibrio di genere.

Antonella, tu sei un’imprenditrice affermata, di quell’affermazione che affascina tutti (relazioni importanti, viaggi, avere a che fare con il mondo dello spettacolo), ma per cui pochi sono disposti a impegnarsi. Proviamo allora a raccontare la tua vita quando eri solo una sognatrice, una giovane ventenne che neppure immaginava che il suo percorso sarebbe stato così ricco di soddisfazioni. Raccontami gli inizi, quando il tuo lavoro non affascinava nessuno e, anzi, è stato causa di tanta diffidenza per te che volevi occuparti di cinema in una piccola città di provincia come Gorizia.

«La mia storia lavorativa è l’inseguimento di una passione: la fotografia, fotografia che poi si è trasformata in video. Io ho sempre voluto esplorare queste arti collegate al contesto cinematografico. Quando iniziai a muovere i miei primi passi nel mondo del lavoro ero una ragazzina affannatamente alla ricerca della propria autonomia e che, in nome di questa, ha accettato ruoli impiegatizi estranei alle mie ambizioni ma che mi hanno consentito almeno di essere indipendente. Però non ho demorso e non mi sono accontentata: mi sono iscritta a corsi di fotografia, di montaggio video, di produzione collegata al cinema e non mi sono mai vergognata di dedicarmi a riprese e montaggio di filmini per i matrimoni e tesi di laurea. Per tesi, ad uno di questi corsi, mi prestai come assistente alla regia per un cortometraggio. Da lì alla produzione di cortometraggi miei. I primi festival. I primi contatti con le società di produzione cinematografica. Poi attori allora esordienti e oggi di punta come Edoardo Leo, una sceneggiatrice preziosa come Federica Pontremoli (sceneggiatrice di Nanni Moretti, ndr) e tanti altri a cui sono immensamente grata. La diffidenza si è sciolta progressivamente difronte alla mia perseveranza e ai risultati raggiunti».

Quali difficoltà hai dovuto superare per farti aprire le porte di questo mondo cinematografico?

«Dare delle opportunità a una giovane ventenne carica di entusiasmo ma di poca esperienza non è stato facile, però il tutto si è evoluto naturalmente e pazientemente, senza strappi, senza illusioni, né voglia di fare gradini a tre a tre. Ogni cortometraggio, di ottimo valore, era il lasciapassare per quello successivo e le relazioni acquisite nei primi lavori erano il tesoro per i successivi. Un passo alla volta sono arrivata fino alla nomination al Globo d’Oro e una cinquantina di premi in tutto il mondo, i contatti con la televisione, le contribuzioni del Ministero per i beni Culturali e perfino la realizzazione di un cortometraggio, ad alto valore sociale e di cooperazione, supportato dall’ONU».

Hai mai detto “basta, non ce la faccio più, mollo tutto”?

«Momenti di sconforto ci sono stati, ma io sono sempre stata convinta che se hai una buona dose di entusiasmo e credi in quello che vuoi ottenere, ce la fai. Io ho voluto raggiungere quelli che erano i miei obiettivi, risultati che io vedevo con chiarezza quando i più non vedevano nulla; poi mettiamoci una gran dose di costanza, dedizione, investimento di tempo e di denaro».

Oggi però non produci più cortometraggi.

«Nel 2010 optai di non produrre più nulla: ho dovuto scegliere tra fare il grande passo producendo un lungometraggio oppure concentrarmi su alcuni dei tanti aspetti, anche amministrativi, delle produzioni. Fu il mio istinto a valutare, sentivo che dovevo fermarmi, sentivo che intraprendere la produzione di un lungometraggio mi avrebbe esposto troppo economicamente in anni che poi si rivelarono molto difficili: i finanziamenti del Ministero per i Beni Culturali rallentarono e anche qui in Regione i contributi all’industria cinematografica subirono una battuta d’arresto a seguito di incomprensioni sulla produzione del film di Marco Bellocchio dedicato alla storia di Luana Englaro. Di colpo, dunque, il vuoto. Dopo l’iniziale panico, non mi persi d’animo: organizzai insieme ad amici e colleghi una conferenza stampa che servì a catturare l’attenzione pubblica su una realtà che fino ad allora ignorava: l’indotto florido del settore cinematografico in regione. Il grave danno economico che ne sarebbe derivato doveva essere conosciuto, condiviso. Seguirono mesi e mesi di battaglie anche mie personali: fondammo l’associazione Ala (associazione laboratori dell’audiovisivo del FVG), di cui io ne fui presidente per tre anni, per riassumere in una la forza di tante voci. Alla fine abbiamo vinto e i contributi furono ripristinati. Ma tutto, anche queste battaglie, mi aiutarono a capire con più chiarezza la strada del mio futuro: abbandonai definitivamente la produzione dei cortometraggi e mi dedicai esclusivamente all’amministrazione e gestione di parti di grandi produzioni. Mi affermai così come location manager e casting director».

Quella di casting director è l’ultima e forse la più avvincente delle tue sfide professionali.

«Mi ero già cimentata con successo come location manager quando un giorno, anche su spinta e fiducia di alcuni colleghi, mi prestai ai casting. Di fatto mi inserii in un contesto che pareva non avere spazi vuoti da colmare ma io iniziai lo stesso, in punta di piedi, rubando con gli occhi in ogni occasione di confronto. Al primo casting arrivarono 150 persone: numeri piccoli visti con gli occhi di oggi dove arrivano 4-5.000 persone, ma che per me allora erano già importanti, faticosi per un’esordiente. Andò tutto bene: questo enorme sforzo, negli anni, mi portò anche a un prezioso riconoscimento con la nomination proprio come Casting Director ai Nastri d’Argento per il film Il Ragazzo Invisibile di Gabriele Salvatores: un grandissimo orgoglio».

Oggi ti dedichi esclusivamente al mercato cinematografico italiano?

«No. Galaxia lavora tantissimo anche con la Slovenia che è diventata il centro europeo di produzione di progetti pubblicitari. Tanto impegno profuso negli anni consente oggi, a me e a chiunque lavora in questo settore, di poter parlare di un mercato stabile cinematografico per tutto l’alto Adriatico. Cosa che prima di me, e di tanti altri colleghi impegnati come me, fino agli anni 2000 non esisteva».

Sul piano personale, mentre la tua carriera decollava che prezzo hai dovuto pagare?

«Prima dell’arrivo dei miei figli io ero esattamente dove volevo essere: sul set. Il mio è stato un investimento professionale esclusivo a cui mi sono dedicata totalmente senza sensi di colpa di mancare a qualcos’altro. Poi con lo stesso entusiasmo, e con l’uomo giusto, ho desiderato dei figli e la mia vita è cambiata radicalmente. Quando i tuoi bambini solo li immagini credi che con loro farai le stesse cose di prima, che basterà organizzarti (ride, ndr). Avevo anche fatto realizzare nel mio precedente ufficio una nursery credendo che mentre io sarei stata dietro alla scrivania, i miei bambini avrebbero giocato lì tranquilli. Niente di più falso: ho scoperto, oltre ovviamente alle gioie della maternità, la fatica di essere mamma, una fatica che fino a prima non puoi neppure preventivare. Non solo quindi la nursery non l’ho mai usata (ride ancora, ndr) ma sono dovuta rapidamente scendere con i piedi per terra. In quel momento ho iniziato a fare i miei primi sacrifici lavorativi: se prima a una chiamata da Roma avrei risposto col biglietto aereo pronto in 24 ore, ora direi un secco no, per la mia famiglia e per i bambini. Per l’importanza di esserci».

Da imprenditrice come ti sei organizzata?

«La parola chiave è stata delegare. Ho iniziato a investire sui miei collaboratori, dove anche lì ovviamente ci sono state esperienze positive e negative, ma non mi sono mai rassegnata, non potevo farlo: da un canto non volevo assolutamente rinunciare al mio lavoro e dall’altro non volevo assentarmi lungamente da casa. Anche insegnare ai collaboratori mi ha richiesto tempo e dedizione ma sapevo che era l’unica via da prendere, una via comunque sicura e al riparo da inganni possibili perché il mio è un lavoro infungibile, fatto di relazioni umane, di rapporti a due, di riconoscimenti personali, difficile da replicare con scorciatoie subdole. E poi a casa c’è Giovanni che, come ho già detto, è parte del mio successo: non è facile trovare in un uomo la stessa dedizione di una madre, ma in lui l’ho trovata».

Davanti a me c’è la quadratura perfetta di una vita così fruttuosa: sposta un tassello e cade il palco, togli una nota e perdi la melodia. Resto sempre molto colpita dall’animo vivido degli imprenditori che sembrano cresciuti a pane e ottimismo: vedono soluzioni dove i più trovano problemi, accolgono sfide quando gli altri le rifuggono.

Io e Antonella ci regaliamo ancora qualche minuto per le ultime battute, chiacchere tipicamente “da donna”: consigli di fitness per mantenersi in forma, le scuole dei bambini e, soprattutto, decine di selfie alla ricerca della foto perfetta. Sono in uno studio fotografico, almeno una foto, su decine fatte, sarà venuta bene?

 

L’avvocato Anna Limpido è Consigliera di parità goriziana

Visited 5 times, 1 visit(s) today
Condividi