Abbiamo alle nostre spalle il periodo dell’anno che, per tradizione, è maggiormente dedicato ai buoni sentimenti, alla fratellanza tra pari, alla bontà incondizionata; davanti a noi, vi è la festa di San Valentino, che, anch’essa per tradizione, è dedicata all’amore.
Ed è in questo momento che, alleggeriti nell’animo da un lato ma spaesati e frastornati da quello che in alcuni casi cede in buonismo, sentiamo più pressante una domanda apparentemente semplice, ma al tempo stesso intrinsecamente complessa: che cos’è l’amore? È un tema che in questo periodo rischiara le nostre giornate, ma che in realtà è accanto a noi, se lo vogliamo, ogni giorno, incessantemente.
L’amore lo cerchiamo o aspettiamo che arrivi? Da bambini, da ragazzi, da adulti e da anziani ci impegniamo per il suo raggiungimento; la madre, l’altro sesso, i figli costituiscono la realtà di quelle rappresentazioni mentali, di quei desideri prodotti. Perché questo bisogno di avere qualcuno accanto? “L’uomo è un animale sociale”: nella sua natura vi è il bisogno di stare con gli altri suoi simili.
E come avviene il processo di scelta? È un processo razionale o emotivo? Siamo prede o cacciatori? Dipende da noi o dagli altri? Se c’è, quale è la linea di confine tra amicizia, innamoramento, amore, passione, tenerezza, benevolenza? Esiste l’amore con la A maiuscola come quello presente nelle fiabe o vi sono più stadi e forme diverse di questo sentimento? Come nasce l’amore tra due persone? È solo una questione chimica? La psicologia ha un ruolo in questo processo? E la ragione? Interviene anche la fisica? E questo per cosa si caratterizza dall’amore che una madre prova verso i suoi figli?
Una volta sbocciato, cosa serve all’amore per alimentarsi? Quali sono gli “ingredienti” che tengono accesa la fiammella? Oggetti preziosi, oggetti desiderati, dialogo, tempo, presenza fisica, condivisione di obiettivi? Ammesso che siano questi, in quale quantità vanno amalgamati? Stesso dosaggio o peso variabile per “ingrediente”? Quale peso ha il contatto fisico?
Come sopravvivono i rapporti a distanza? O come proseguono storie d’amore in cui il contatto fisico è limitato o impossibile? O l’amore vero va oltre al tatto?
Comprende e si alimenta con i cinque sensi? Le sollecitazioni al nostro corpo derivano solo da questo? O vi è dell’altro? È forse una questione di condivisione di pensiero? Ciò però andrebbe in contrasto con le teoria secondo cui “gli opposti si attraggono”.
Una batteria produce energia se vi è il polo positivo e il polo negativo. Può l’attenzione costante verso l’altro rappresentare la giusta fiammella per tenere acceso quel fuoco? E questa attenzione cos’è? È universale o va calibrata sul mio interesse? Come ogni rosa ha le sue spine, così anche l’amore vive momenti positivi e negativi; come una pianta va annaffiato con la giusta dose; come il fuoco va alimentato lentamente e controllato per evitare che si spenga o che divenga impetuoso e incontrollabile.
Dunque l’amore è anche infelice o, per sua natura, un amore è felice? L’infelicità è parte dell’amore o lo mina e lo distrugge se non è abbastanza forte?
O forse l’amore felice corrisponde all’abitudine. Ci si può abituare al rallentamento delle emozioni? Dipende dalla nostra mente produrre meno adrenalina di fronte a uno stimolo conosciuto o consapevolmente etichettiamo ciò come un’abitudine? Se i sentimenti possono essere simulati, allo stesso modo possiamo anche aumentare e diminuire la loro intensità.
E poi, perché quel cuore che prima batte così forte a un certo punto rallenta? E questo è una diminuzione progressiva o una brusca frenata? Cosa accende il fuoco della passione e cosa lo fa spegnere? Se ci vengono lanciati dei segnali, quali sono? E perché non li vediamo? Ma davvero i nostri sensi non li percepiscono o interviene la ragione a offuscare ciò che non vuole vedere o che il cuore già conosce? Perché certi amori finiscono, altri si evolvono, altri ancora si trasformano in incubi?
Qual è la giusta quantità di amore, se di essa si può parlare? E dove sta il limite che circoscrive l’amore di un genitore verso il proprio figlio dall’oppressione? Così come quello di un uomo verso la sua compagna?
Se l’amore è un sentimento “buono” perché fa tanto soffrire l’amato e l’amante? Gli amori più contrastati sono anche quelli più profondi; il bene è tale in rapporto al male. Non vi può essere amore senza pena; passione senza sofferenza.
Si dice che l’amore sia una droga. Dunque fa male? O il paragone è dettato dall’effetto di totale trasporto che l’innamorato prova? Ma si è innamorati o ci si crede tali e dunque lo si è? Se poi il credo viene meno, svanisce anche il sentimento?
C’è un solo amore per tutta la vita o è la vita stessa che ci richiede amori diversi? Il bene di un uomo verso la sua donna è diverso dal sentimento di una madre verso il proprio figlio? Eppure entrambi li definiamo “amore”. E fino a dove la dedizione completa verso un’altra persona è amore e non annullamento di se stessi?
E c’è amore anche verso se stessi? Il bene che uno si vuole si può chiamare amore? E sulla base di quali condizioni e di quali fattori interni/esterni, l’individuo destina la sua quota di bene agli altri, privandosene? E di quante persone ci si può innamorare? Allo stesso modo, quante persone si possono amare? E da quante persone si può essere amati?
Se l’amore è cosa diversa dalla ragione, quando seguo l’uno e quando l’altra? Oppure, proprio perché essendo diversi, si integrano e insieme permettono di comprendere il senso delle cose e il giusto indirizzo? La mente si apre tramite il sogno; il cuore tramite l’amore.
Di amore si parla da sempre, in ogni modo. Ma è giusto esprimere l’amore a parole? O il parlarne ne riduce la magia? Sono veramente necessarie le parole per esprimere questo sentimento o il silenzio rappresenta il linguaggio più adeguato alla sua trasmissione? Le parole bloccano il sentimento o gli forniscono le ali per volare? Se guardiamo al panorama musicale, nazionale e internazionale, il tema dell’amore rappresenta il fulcro della maggior parte delle canzoni. Volete fare un esperimento?
Provate a inserire in un motore di ricerca la parola amore abbinata a canzone: il risultato che otterrete è un numero decisamente significativo. E se pensate che in tutte quelle canzoni si parla d’amore con una sfumatura sempre diversa, vi renderete conto di quanto sia difficile confinare il tema in poche battute o di quanto sia riduttivo darne una definizione univoca. Se poi, sempre in un gioco immaginario, associamo a quelle canzoni d’amore le molteplici emozioni che il popolo dei fans produce e prova per le stesse, la fotografia che ne deriva è davvero variopinta e fantastica.
Cambiando prospettiva, amore è una parola. Rappresenta un’etichetta, condivisa da persone che utilizzano lo stesso codice. Se cambio il codice, come comprendo l’amore? E se definisco questo sentimento di legame affettivo che mi fa star bene con un’altra parola, intendo sempre lo stesso stato di benessere? Di sinonimi per amore ve ne sono diversi, più o meno attigui, incisivi, erotici, familiari. Proviamo a fare un gioco: se descrivessimo quello stato emotivo che attrae due persone con un altro termine (fagiolo per usare un termine di senso compiuto; aumitx per inventarne uno nuovo), non credete che, dopo i primi attimi di ilarità o di spaesamento, il sentimento resti il medesimo e nulla muti nei vostri cuori? Noi crediamo sia così.
Ed è su questa linea che, come parte del mondo della cooperazione sociale, con questa riflessione vogliamo porre la nostra attenzione sul ruolo delle parole e sul peso da attribuire ai sentimenti propri e dell’altro.
Fermiamoci a ragionare sul loro significato e senso primario che questi hanno per noi e per gli altri. Consideriamo che vi possano essere molteplici sfaccettature tutte adeguate e corrette; rileviamo che vi è un trend e che siamo noi a decidere dove sta l’asticella ogni giorno, come anche il grado di ebollizione.
Siamo noi a essere innamorati veramente se crediamo che sia così.
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