Cera d’ampia salute, passo veloce come il pensiero, capacità di decidere, lavoro d’archivio, bonomia, cordialità, amore per la “propria” terra, simpatia, “levitas” nel porgere ciò che semplice non è. Senza essere lisciatori non dilettanti, sono alcune qualità da riconoscere in gran dose al professor Giuseppe Bergamini.
Ancora una, non con lo spirito di chi vuole “zontâ”, come quando si aggiungeva, “meti dongja”, una manciata di pesci per raggiungere il peso: la capacità di ascoltare tutti, e magari di dire, poi, ciò che non va in maniera netta. Gli anni del Prof. sono passati, e passano, nel lavoro - negli affetti - e in straordinaria produzione, che gli esperti dichiarano d’alta qualità.
Per compulsare il ricco curriculum, bastano gli strumenti, quasi stregoneschi, che il progresso ha offerto; si troverà tutto. Ma non l’uomo, che è molto di più.
Friulano speciale, lui: fin guardandone gli scritti a volo d’uccello, ci si accorge che è un friulano integrale, non integralista. Parla del Friuli, ai quattro venti, con serenità aliena dalla “patavinitas”, pur spiegabile, che si nota in qualche luogo. Nelle sue opere si trova capacità di analisi, di sintesi, studio specialistico e compilazione manualistica, che serve al lettore, di ogni grado, per renderlo capace di orientarsi, subito, nel gran mare dell’arte e della storia.
Direttore dei Musei Civici di Udine, nel castello dei Patriarchi ove si respirano i secoli, riceveva tutti, ascoltava, offriva il suo sapere (lo fa anche oggi) senza gelosie, con generosità e competenza, soprattutto ai giovani. Non poteva non approdare alla direzione del Museo Diocesano, per ciò che ha scritto sulla ventata di novità portata in Friuli dall’arte veneta, e per aver parlato di “come la vicinanza geografica con popoli di etnia e di cultura diversa abbia avuto un qualche peso nella maturazione di un linguaggio se non proprio autoctono ricco di particolarità altrove non rintracciabili …”.
Ha scritto della “profonda e sentita religiosità delle genti del patriarcato”, che si materializza nel caleidoscopico pullulare di committenze d’opere nei vari settori, “con qualche differenza, talora sostanziale, tra il territorio del patriarcato soggetto a Venezia e quello soggetto alla Casa d’Austria”, cioè del Friuli “banda Guriza”, delle nostre terre. Anche qui, analisi, e sintesi come nel manuale di storia dell’arte in Friuli Venezia Giulia (con Sergio Tavano) e come la Guida e… le “guidine”, sì, quelle pubblicazioni minute di mole, ma grandi di contenuto, da lui promosse, che scendono nelle nostre cittadine, nei nostri paesi, come Aiello (Stefano Perini), Cervignano (Giuseppe Fornasir), o la poesia fatta paese di Tapogliano (Giulio Tavian)…
Non interesse rapsodico per le nostre terre, ma rafforzato da durature amicizie: prendiamo quella con un altro amante del Friuli, dalla passione radicata: monsignor Silvano Piani.
Il prof. Bergamini ha mostrato, senza intenti predicatori, che l’arte sacra, la religiosità popolare, non sono “cose da preti”, ma aspetti del vivere civile. A proposito di moralità, non di moralismo, si devono accettare senza riserve i suoi appelli ad essere attenti a che il patrimonio dell’arte sacra, in tutte le sue declinazioni, non venga disperso, e che non prevalga l’osceno desiderio dell’avere rispetto all’essere.
Anche oggi, la sua capacità di lavoro deve estendersi oltre le ore, per essere consenziente con la sua generosità.
“Si che duncia”, per questo modenese, qui trapiantato, si potrebbe modificare leggermente l’iscrizione latina per Wiligelmo, il mitico scultore architetto del duomo di Modena, solo con varianti minime del testo, reso in italiano:
“Quanto tra gli studiosi” (al posto di scultori)
tu sia degno di onore,
è evidente, o Giuseppe, (al posto di Wiligelmo)
per la tua cultura” (al posto di scultura)
E che la storia continui, per questo giovane di ottant’anni!
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